Nostra intervista al giovane artista racalmutese che ha illustrato per “Palindromo” la prima edizione del capolavoro di Collodi: “Ho ritrovato in questo racconto un mondo irreale e fittizio che mi ha sempre affascinato”
Pinocchio muore impiccato e la storia si chiude lì. Fine. È il 1881. Il racconto di Carlo Collodi viene pubblicato nel “Giornale dei bambini” in otto puntate. La macabra fine del burattino – poveri bambini! – arriva proprio nelle ultime righe del quindicesimo capitolo. Pinocchio che muore come Cristo, racconto “terribile e potentissimo”, per dirla con Nadia Terranova che su libri, bambini e letteratura per ragazzi, anzi con dei ragazzi o dei bambini dentro, ha detto e scritto tanto.
Pinocchio, altro che favola! La bambina dai capelli turchini, corvi e civette, paese dei balocchi e balene arriveranno dopo. Bisognerà infatti aspettare il 1883 per vedere il seguito delle “avventure” nella prima edizione in volume pubblicata a Firenze con le illustrazioni di Mazzanti. E bisognerà aspettare diversi decenni per rileggere l’opera così come era stata pensata e scritta. Per farlo bisogna avere tra le mani l’elegante libro stampato da una casa editrice siciliana, “Il Palindromo”, per assaporare l’edizione curata da Salvatore Ferlita, critico letterario siciliano da sempre legato alla figura di Pinocchio, che sulle illustrazioni di un altro siciliano, il giovane Simone Stuto, ci dice senza mezze misure che l’artista “ha restituito Pinocchio alla topografia del fantastico, dando corpo ai fantasmi di Collodi, ricomponendo le sue ossessioni”. “Finalmente – chiosa Ferlita – il burattino più famoso al mondo ha dismesso le vesti edulcoranti e melense per mostrarsi in un’epifania perturbante, gotica”.
Simone Stuto è di Racalmuto, ma vive e lavora da qualche anno guardando le Alpi. Si è formato all’Accademia Belle Arti di Palermo, ma è cresciuto nel paese di Sciascia e di Pietro D’Asaro, il celebre pittore del Seicento detto il “monocolo”. È partito proprio da qui, dal piccolo paese (mi si permetta una divagazione personale, il coinvolgimento di Simone per le illustrazioni del libro da noi curato, Povere foglie di Gargilata di Ignazio Pillitteri, pubblicato da Malgrado tutto nel 2010) e finito, dopo una parentesi palermitana, dentro importanti gallerie d’Arte e dentro le pagine di un libro storico, leggendario, unico.
“Il mio Pinocchio? Tutto ha avuto inizio un paio d’anni fa – ci racconta Simone – quando risiedevo a Palermo. Ho instaurato un bel rapporto con i due editori della casa editrice “Il Palindromo” e, infatti, successivamente ebbi modo di collaborare offrendo loro dei piccoli contributi per la realizzazione di qualche copertina o di qualche altro intervento mirato. Nacque proprio in quel periodo, l’idea di riproporre ai lettori la prima edizione del capolavoro di Collodi, correlato dalle mie illustrazioni. Il progetto suscitò in me un entusiasmo senza eguali e di volta in volta, ricordo che si consolidava l’idea di quanto potesse esser idoneo il mio linguaggio artistico e di quanto potesse calzare perfettamente con la storia di Collodi, sia dal punto di vista stilistico, morfologico e contenutistico. Pertanto, senza snaturarmi, ho realizzato le tavole illustrative, fedele al mio linguaggio e nel rispetto di un equilibrio e di una complicità fra la storia del burattino e il mio operato di artista”.
Conoscevi sicuramente le illustrazioni di Mazzanti per l’edizione delle “Avventure di Pinocchio” del 1883…
Certo. Apprezzo tantissimo le illustrazioni di Mazzanti, ma ho ritenuto opportuno creare un Pinocchio che potesse trovare riferimento ad altri periodi storici, così da creare qualcosa che non avesse nulla a che vedere con gli stereotipi che si sono mano a mano stratificati su questa entusiasmante storia.
Che effetto ti ha fatto illustrare la prima edizione di Pinocchio?
Quando mi venne chiesto di illustrare questo capolavoro letterario, ho immediatamente pensato che sarebbe stato logico proporre ai lettori delle visioni in parte decontestualizzate. Difatti, le mie illustrazioni trovano riferimenti disparati, collocati in diverse epoche storiche, ma sempre nel rispetto di quella peculiarità che caratterizza la ricerca del mio operato artistico. Però mentirei se dicessi che il confronto “corpo a corpo” con questo capolavoro è stato semplice e lineare, poiché la storia del burattino più conosciuto al mondo è piena di metafore e intrecci di carattere etico e morale. Pertanto, erano questi gli aspetti che dovevo necessariamente comprendere per far si che io potessi calarmi nei meccanismi intrinseci dei personaggi, dando vita a una serie di situazioni che trovano compimento ed espressione nella drammaticità espressa dalla morfologia e dalla dinamicità. Suggestioni che ho avuto modo di riscontrare nel Pinocchio di Carmelo Bene del 1961 e che mi hanno fortemente influenzato.
C’è nel tuo Pinocchio qualcosa di oscuro, appunto. Raccontacelo.
Già le mie opere mettono in luce qualcosa di celato, che trova riferimento al mondo del capriccio e dell’invenzione. Un mondo irreale e fittizio che mi ha sempre affascinato e che ritengo possa sempre aver fatto parte del quotidiano dell’essere umano. Il primo a etichettare questa branca è stato Alfred Jarry, con Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico del 1911, attraverso il quale l’autore parla della patafisica, ovvero, la scienza delle soluzioni immaginarie, quindi di una disciplina che si occupa dell’inesistente. A suggestionarmi ci sono, altresì, una serie di esperienze umane, che ho avuto modo di apprendere studiando le diverse espressioni, partendo dalle grotte di Chauvet e Lascaux in Francia, sino ai giorni nostri, e l’inevitabile analisi delle stesse in rapporto con la contemporaneità e la quotidianità. Sono arrivato alla conclusione che non è mai cambiato nulla dal punto di vista concettuale. I sentimenti, gli stati d’animo e gli interrogativi della vita sono rimasti invariati. Pertanto, il carattere “oscuro” delle mie opere fuoriesce dall’esperienza sensibile dell’Io in rapporto alla società, che ricerca nella stratificazione culturale umana il concetto di “bello” e “brutto” generando un vero e proprio inscindibile dualismo, che si evince e ripete in forma infinitesimale in tutto il mio operato. Lascio a voi decidere quanto di oscuro in tutto ciò possa esserci.
Geppetto con le tre pere sembra una figura venuta fuori dalle sacre scritture. Ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
È una figura sacra e affascinante, che mi ha colpito particolarmente. Mi sono sin da subito reso conto che Collodi lo ha reso divino, attribuendogli il ruolo di “creatore”. Creatore di quel burattino che, nonostante le peripezie e le vicissitudini, ama alla follia, trasmettendo così valori etici e morali, senza eguali, a noi lettori. A mio giudizio, anche le tre pere trovano riferimento alla tradizione cristiana. Forse è per questi ed altri motivi che il mio Geppetto sembra venuto fuori dalle sacre scritture, infatti, per la realizzazione dello stesso, ho attinto dalla tradizione figurativa classica e rinascimentale, che vedeva Papi e mecenati, durante il periodo delle signorie rappresentati di profilo e sempre in primo piano. Rappresentazione che ritroviamo secoli prima nelle monete romane, con le effige degli imperatori ancora una volta raffigurati di profilo. Dal punto di vista morfologico e segnico, ho estrapolato elementi dalla tradizione seicentesca spagnola, che mi hanno sempre particolarmente colpito.
Simone, progetti in cantiere?
Ci sono diversi eventi in programma, uno di questi, mi vedrà prossimamente impegnato a Torino presso la galleria Riccardo Costantini Contemporary dove, oltre alle illustrazioni del Pinocchio, esporremo altre mie ricerche.