In libreria il saggio-storico di Luciano Carrubba sul Riformismo nella Sicilia del Settecento
Prima di andare a leggere il libro di Luciano Carrubba su Francesco Paolo Di Blasi, sono tornato a rileggere Il Consiglio d’Egitto di Sciascia (ritrovando anche quelle pagine mai così attuali come oggi, dedicate alla “terribile peste” e alle preoccupazioni del protomedico Racalmutese Marco Antonio Alaimo sulle “infrazioni alle misure di sicurezza”). E l’ho fatto apposta, per andare a riassaporare quella pagina da mille e una notte, con quell’incontro amoroso tra il Di Blasi, protagonista del romanzo di Sciascia tanto quanto l’Abate Vella, e la bella contessa di Regalpetra, preoccupata che il Consiglio d’Egitto la spogliasse dalla rendita, mentre Di Blasi le accarezzava felicemente il corpo nudo.
Un mito, Francesco Paolo Di Blasi, l’intellettuale e pensatore palermitano nato nel 1755 e vissuto nella Sicilia illuminista, che Luciano Carrubba ci presenta in questo saggio storico sul Riformismo nella Sicilia del Settecento. Cento pagine che ci danno l’idea di quella che poteva essere oggi una Sicilia diversa se la strada delle riforme intraprese dal viceré Caracciolo, non a caso venuto in Sicilia da Parigi, “dal luogo della ragione all’hic sunt leones”, scrive Sciascia, sarebbe stata tracciata anche dopo la congiura repubblicana che, di fatto, sancì simbolicamente la conclusione della stagione dei viceré illuminati e la fine del Di Blasi giustiziato in pubblica piazza, come sappiamo, il 20 maggio del 1795 (e ogni volta che passo da piazza Indipendenza, a Palermo, non posso fare a meno di guardare quella lapide che ricorda “l’insigne propugnatore invitto dei diritti dell’uomo” ucciso con l’accusa di “cospirazione repubblicana”).
Il sogno di una repubblica siciliana, la passione per la Francia e gli scrittori illuministi, Diderot e Voltaire, combattere i privilegi intoccabili della nobiltà siciliana. Questo era Di Blasi. Con i suoi scritti sull’uguaglianza degli uomini e le Prammatiche del Regno di Sicilia, e il sogno di una eliminazione definitiva dei privilegi del clero e dei nobili. Il diritto, la ragione. Non sbaglia Carrubba a trasformare il corpo martoriato di Francesco Paolo Di Balsi in un simbolo: la nuda vita violata dal sopruso perpetrato dall’aristocrazia siciliana sul corpo sociale della Sicilia borbonica. Nel rituale pubblico della ghigliottina, nota il giovane autore del libro (Carrubba, trent’anni di Racalmuto, docente di Filosofia), cade la testa della rinascita sociale del popolo siciliano.
Ecco perché il libro, stampato a Messina dalla Casa Editrice Kimerik e corredato dalla prefazione di Raffaele Manduca e dalla postfazione di Francesco Pira, si chiude con un significativo omaggio a Leonardo Sciascia e al suo abate Vella, che in maniera differente rappresentava, con Di Blasi, una sorta di “portavoce dell’innovazione”.
Questo libro, da pochi giorni arrivato nelle librerie, non solo ci dà chiara lettura di un personaggio che la Sicilia dovrebbe rispolverare, ma ci indica una possibile strada da percorrere. Intanto ci invita a riscoprire un uomo di tenace concetto, a farlo conoscere ai ragazzi, a scuola, e raccontare loro di un siciliano morto a quarant’anni per aver difeso le sue idee di libertà e uguaglianza, contro quei privilegi che ieri come oggi annientano il vero cambiamento sociale.
Dovremmo essere tutti un po’ Di Blasi, ogni tanto: ricordarci che è possibile credere nel cambiamento se si rimane uniti contro avidità e ignoranza, prepotenza e impostura. “Ho voluto stigmatizzare il fatto che l’uomo con la sua libertà – scrive Luciano Carrubba – dovrebbe essere al centro di ogni progetto politico che naufraghi nella dittatura o nella negazione di quei valori che permettono a una civiltà di definirsi umanistica”.