“Io resto a casa” non è una vacanza, lo hanno capito anche i bambini. Valeria Iannuzzo un hashtag
Se la didattica a distanza è l’imperativo categorico a cui docenti e studenti non possono sottrarsi, allora ci tocca ingegnarci. Io, per esempio, prima di attivare le consegne sul registro elettronico, ho registrato un video per tutti i miei studenti, perché l’idea di iniziare a scaricargli una montagna di compiti in maniera così fredda e impersonale proprio non mi piaceva. Allora ci ho messo la faccia, senza trucco, stanca e tirata, invitandoli dal salotto di casa mia a non mollare, a darsi da fare impegnando proficuamente il loro tempo, e magari tra un gioco e un altro, una pizza e una torta, dedicare del tempo al rinforzo di quanto appreso durante quest’anno scolastico. Giusto per non dimenticare. Non so quanto il mio video sia piaciuto, ma come risposta in tanti mi hanno girato foto, messaggi vocali, videoregistrazioni. Tutti con un unico denominatore: “Spero di tornare presto a scuola”. Vedere quei piccoli visetti, sentire le loro vocine, vi assicuro, è stata una vera boccata d’ossigeno, una caramella succosa che si scioglie in bocca, che mi ha fatto sentire orgogliosa di essere la loro maestra. Mai come adesso ai nostri bambini sono mancati la scuola, i compagni, i compiti, le spiegazioni, le maestre.
I bambini hanno perfettamente compreso che “Io resto a casa” non è una vacanza, ma una vera emergenza di cui avvertono il peso. Non so quanti contenuti potranno acquisire con la didattica a distanza, la bontà di questa metodologia darà i suoi esiti al nostro rientro a scuola. Non nascondo tuttavia la paura che questa modalità di insegnamento – apprendimento possa ampliare il gap tra chi a scuola riesce bene e chi invece no. I cosiddetti bravi potrebbero rimanere bravi o diventare ancora più bravi e i meno bravi retrocedere inesorabilmente nelle scale valutative. Ma questo è un bilancio che potremo fare solo nei prossimi mesi. Ciò di cui sono certa è che questa esperienza di vita dura, forte, pesante sarà uno dei bagagli esperienziali più importanti con cui si potevano confrontare. Impareranno più di quanto decine di libri di storia avrebbero potuto contenere. Impareranno più di quanto eserciti di insegnanti avrebbero potuto spiegare. Impareranno ad apprezzare la vita, la libertà, la scuola, la salute. Impareranno tanto, forse troppo. Impareranno sulla propria pelle come la vita gli abbia servito il suo piatto più freddo senza che noi in alcun modo potessimo evitarlo.
E allora, didattica a distanza a parte, per trascorrere a casa interminabili giornate non ci resta che ingegnarci, riadattarci, reinventarci. Ed è proprio questo quello che stanno facendo i miei studenti, quotidianamente impegnanti nella preparazione di dolci e pizze, manipolazione di pasta di sale e decoupage, arcobaleni e flash mob. Nessuno è rimasto immobile, tutti si sono presto adattati. Mi hanno veramente sorpresa. E questa non è certamente la prima volta che lo fanno e non sarà neanche l’ultima, non fosse altro perché prendendo spunto da un loro video ho deciso di lanciare un hushtag #iorestoacasaeimparoa…
È stata Sara, sette anni, seconda elementare, a darmi questa idea con un suo messaggio in cui con voce entusiasta mi diceva: “Maestra, lo sai, ho imparato a saltare con la corda!”. Ecco, Sara, campionessa di pattinaggio, non potendo andare agli allenamenti e fare ciò che le piace fare, ha avuto la capacità di riorganizzare gli spazi domestici, rendendo il salotto di casa un luogo dove poter fare esercizio fisico. E così ha imparato a saltare con la corda. Evidentemente era qualcosa per cui non aveva mai trovato il tempo.
Lo spirito dell’hashtag “#iorestoacasaeimparoa…” è proprio questo, impegnare proficuamente il proprio tempo per imparare a fare qualcosa che ci fa stare bene, che ci piace o che ci potrebbe essere utile.
Io, per esempio, prima del tre aprile, conto di insegnare a mio marito a stirare le camicie magari potrebbe riuscire meglio di me. Lui, saggiamente, intanto si tiene impegnato facendo cose da maschi. Ieri, dopo aver caricato sul registro elettronico le consegne per i suoi studenti, ha iniziato a pulire il garage. L’opera è rimasta incompiuta perché ha scoperto che avevamo ospiti inattesi, una famiglia di topolini aveva preso abusivamente casa tra uno scaffale e l’altro. Da animalista incallito quale lui è non ha battuto ciglio, si è ritirato commosso, lasciando a Loris, il gatto domestico, cresciuto a croccantini e bocconcini di carne, il compito di marcare il territorio.
Così Loris, al tempo del Coronavirus, se vuole restare a casa dovrà imparare a fare il gatto, scegliendo di cacciare le piccole prede o di farle semplicemente sloggiare. Se anche a voi piace questa l’idea, condividete il mio hashtag #iorestoacasaeimparoa…Chissà quante cose potremmo imparare.