Fondato a Racalmuto nel 1980

E mio marito mi disse: “Cu ‘sta pizza ci putemu ammadunari!”

Al tempo del Coronavirus può succedere anche questo

Valeria Iannuzzo

Una delle tante cose che abbiamo provato in questo tempo di quarantena è certamente la privazione. Quando parlo di privazione lo faccio in ogni senso, partendo dal non poter uscire, non poter praticare sport, non poter incontrare l’amata, non poter portare un soldo a casa e così via.

Anche io, che non metto piede fuori casa dal 4 marzo, ho iniziato ad avvertire la privazione. Così, come tanti avranno fatto, mi sono ingegnata e per supplire alla mancanza di contatti umani per esempio ho attivato videochiamate, per compensare la fame di ossigeno durante le belle giornate mi sono messa in terrazza, per colmare il mio bisogno di movimento ho fatto pulizie estreme. Insomma, utilizzando un po’ di fantasia sono riuscita a riequilibrarmi e a stare bene a casa. Tutto è andato bene sino a quando non ho iniziato ad avvertire i sintomi dell’astinenza. Ripeto astinenza. Chi mi conosce sa che non fumo, non faccio uso di droghe e bevo solo qualche calice di vino in compagnia. Dunque astinenza da cosa?

Pizza signori, mi è iniziata a mancare la pizza, il mio piatto preferito. Per me è diventato impossibile non pensarci perché tutte le volte che andavo sui social c’era qualcuno che postava fumanti varietà di pizza. Tutti a pubblicare foto, a commentare la bontà del loro capolavoro.

Premetto che già da qualche settimana mi faccio consegnare la spesa a domicilio e che come tutti continuo a sciropparmi servizi televisivi e video su come cammini il contagio. Potrete dedurre che proprio per questo la pizza a domicilio vorrei evitarla. Così, parlando con amici e parenti ho manifestato il mio bisogno e tutti a dirmi: “Ma no, non è possibile che tu non sappia fare la pizza. È la cosa più facile di questo mondo. Non ci vuole niente. Ti do io la ricetta per l’impasto. Guarda su Youtube ci sono un sacco di tutorial. A me viene buonissima. Tu sei brava in cucina. Perché non la fai?”

Così, scettica, ma allo stesso tempo motivata ho ordinato gli ingredienti e nel primo pomeriggio mi sono messa all’opera sotto l’occhio vigile di mio marito, al quale la pizza forse mancava più di me.

Preparato l’impasto l’ho messo a riposare. Dopo un’ora niente, nessun cambiamento, nessun movimento. Dopo un paio d’ore mi ricordo che mia madre bravissima cuoca ed eccellente anche nel preparare la pizza la pasta la lavorava due volte. Decisa tiro fuori l’impasto e lo lavoro per altri cinque minuti. Il tempo passa. Niente, l’impasto non fa una mossa. Decido, comunque di mettere la pasta nelle teglie, la condisco. Preparo una margherita e una con salame piccante. Inforno e attendo. Pare ci sia qualche piccolo movimento. La sfoglia sembra lievitare. Spengo il forno e chiamo mio marito. Arriva anche il cane. Tiro fuori le teglie dal forno e ancor prima di tagliare la pizza dico a mio marito che forse il coltello non va bene “Qui ci vuole l’accetta”. Comunque, la taglio, la metto nei piatti e ci mettiamo a tavola. Dopo il primo boccone mio marito, uomo di poche parole soprattutto quando si tratta di emettere valutazioni, mi dice con voce pacata: “Cu ‘sta pizza ci putemu ammadunari!”, che tradotto per chi comprende solo l’italiano vuol dire: “Con questa pizza ci possiamo piastrellare il pavimento!”

Scoppio a ridere, una risata catartica, liberatoria, di quelle che ormai da settimane, oppressa dalla paura e dall’ansia, non riuscivo ad avere. Mando anche io giù il primo boccone e per farlo scendere lo accompagno con mezzo bicchiere di coca cola. La fame c’è e continuiamo a mangiare. Mio marito inizia a manifestare il dubbio che la pizza possa farci male e io lo incoraggio dicendogli che è solo pane azzimo, l’impasto non è lievitato pertanto non può farci male. Poi aggiungo: “Vedi, anche il cane la sta mangiando”. Peccato che anche lui al secondo boccone ci fa chiaramente capire che ha bisogno di bere e mio marito si precipita a versargli l’acqua prima che soffochi.

Comunque, la pizza l’abbiamo mangiata, non tutta, ma l’abbiamo mangiata. Ne è rimasta più di una teglia che mio marito ha messo da parte per i suoi amati randagi.

Dopo cena, ho sentito il bisogno di condividere con Accursia, l’amica che in mattinata mi aveva incoraggiata a preparare la pizza con una ricetta con impasto a doppia lavorazione che sua sorella le aveva passato, il mio capolavoro. Così con un vocale le chiedo come era venuta la sua pizza e aggiungo il commento che mio marito aveva fatto dopo il primo boccone. Lei tra le lacrime mi risponde, che la sua era venuta buonina e che pensa di avere buoni margini per potere migliorare, mentre per il commento di mio marito aggiunge: “Valeria, se Guglielmo si riferisce alle mattonelle del salone penso si tratti di un ottimo complimento”.

Purtroppo, devo prendere atto che la mia pizza non è neanche lontanamente paragonabile alla bellezza di quelle mattonelle. Dunque il giudizio è pessimo. Bocciata.

Ma va bene così. Credetemi, mi sono divertita da morire. Ho riso con le lacrime. I bocconi di pizza stentavano ad andare giù non solo perché di cemento armato, ma anche perché le risate ne impedivano la deglutizione. A tratti ho rischiato di soffocare. Ad ogni modo, vi comunico che stamattina stiamo tutti bene. Io non ho avuto nessuna forma di intolleranza come avviene solitamente quando mangio la pizza da asporto o in pizzeria. Non ho toccato un goccio d’acqua tutta la notte e non ho la faccia gonfia. Il cane zampetta felice da un salone all’altro e mio marito è già ai fornelli per preparare spaghetti alla Amatriciana.

Adesso, vi prego, se mi volete veramente bene, non iniziate a suggerirmi ricette per un buon impasto. Vi supplico evitate. Se mi volete veramente bene, organizzatevi, fate un elenco e a turno una volta a settimana mandatemi una teglia di pizza. Vi assicuro che sarà cosa assai gradita da me, mio marito e anche dal cane.

 

 

 

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