GIORNALISMO. Mai come adesso giornali e tv si sono schierati con le posizioni ufficiali, spesso contraddittorie. All’informazione si è sostituita la comunicazione istituzionale. Video, accuse, sindaci sceriffi: tutto contribuisce al clima da terrore. Ma i contagi in Lombardia sono una terribile disgrazia ospedaliera, non è colpa dei runners o dei bambini
Dagli all’untore. Dagli all’asintomatico. Dagli a chi è senza mascherina.
Mai come adesso l’informazione sembra aver abdicato al suo ruolo. Tranne casi particolari, all’interno delle redazioni, i giornali e le tv hanno scelto una linea rigorista – a supporto delle posizioni di virologi, medici e appelli istituzionali (spesso confusi e contraddittori: mascherine sì o no? L’Oms dice una cosa, il virologo ne dice un’altra, ma le mascherine non si trovano, in ogni caso).
Il mantra #restateacasa è accompagnato da autocertificazioni scritte nel solito linguaggio complesso e bruocratico.
I cittadini sono stati arruolati in quella che viene descritta come una guerra. Ma questa non è una guerra: è un impegno collettivo, contro una pandemia da contenere.
E i cittadini non sono soldati da punire in caso di disobbedienza o ammutinamento, semmai sono cittadini responsabili e consapevoli di dover affrontare una nuova sfida più o meno con gli stessi mezzi (distanziamento, igiene, medici) che avevamo a disposizione durante le pesti di Milano e di Palermo – quando infatti il medico Marco Antonio Alaimo, ufficiale sanitario a Palermo, originario di Racalmuto, forniva le stesse raccomandazioni che oggi ci fornisce la Protezione civile e l’Istituto superiore di sanità.
Eppure sui siti, sui giornali e in tv c’è un’aria millennaristica e poliziesca, con la caccia al camminatore solitario, con la frase ripetuta ad oltranza: c’è troppa gente in giro.
I video dei sindaci-sceriffi che cacciano la gente a casa, anche se seduti da soli su una panchina, vengono ripresi e amplificati dai siti dei giornali. A Messina deve intervenire il Consiglio di Stato per far capire al sindaco Cateno De Luca che non si può bloccare lo Stretto.
Ma i dati del traffico telefonico dicono altro e dicono che si muove solo chi deve lavorare o chi deve fare la spesa. Su quattro milioni di controlli in un mese, la percentuale di multe non arriva al tre per cento. Niente per un popolo che viene descritto come vocato all’illegalità
Gli italiani quindi hanno capito e restano a casa. Ma non basta. Ormai chi va a comprare una bottiglia di vino è il colpevole, chi va in campagna a zappare l’orto è il colpevole. Solo da pochi giorni emerge che a Bergamo e a Brescia ci sono state sottovalutazioni e carenze, queste sì colpevoli, le cui conseguenze sono state pagate in primo luogo da medici e sanitari. E da migliaia di malati deceduti.
Nessuno che dia atto agli italiani – individualisti, anarchici, ribelli – che stanno facendo il loro dovere con senso di responsabilità, non per paura della pattuglia delle forze dell’ordine.
Quanto durerà? Non molto, se questa consapevolezza collettiva non sarà riconosciuta e si continuerà ad additare la gente davanti al banco del mercato, accusandola di non mantenere il metro di distanza.
A un certo punto, la gente si riprenderà pian piano i suoi spazi, dettati dal proprio buon senso. Si chiederà: perchè a Pasquetta o il 25 aprile o il 1° maggio, non potrò andare con la mia famiglia, con la quale convivo in casa, nella mia villetta di campagna? E arrostire carne di castrato sarà un reato? Forse bisognerà cominciare a distinguere, caso per caso, zona per zona, regione per regione, provincia per provincia. Altrimenti, #restateacasa, sempre e comunque, con l’occhio degli elicotteri sulla testa, finirà per significare: liberi quasi tutti.
L’informazione ha assunto come proprio il messaggio istituzionale. Senza distanziamento dalle fonti ufficiali. Nessun dubbio, nessuna critica a regole che nella loro applicazione vanno oltre il buon senso. Ma viene ripetuto, uno, dieci, mille volte, il messaggio che chi fa una passeggiata, magari con moglie e figlio conviventi, è il potenziale untore. L’informazione non si può ridurre ad amplificare quello che viene ripetuto ogni sera alla conferenza stampa delle 18 di Borrelli.
Giornali e tv si sono messi la mascherina sugli occhi. E il distanziamento sociale? Il distacco tra l’informazione e la comunicazione istituzionale? Ormai non c’è più, è molto meno di un metro. Restate a casa: è un buon consiglio, ma teniamo acceso il senso critico. Anche e soprattutto durante la pandemia.