Fondato a Racalmuto nel 1980

Un’amica mi confida: “Appena finisce la quarantena vado da un avvocato, voglio il divorzio”

Tra il serio e il faceto, gli effetti del virus sulle coppie

Valeria Iannuzzo

Mai come in questo momento ho creduto che la speranza sia sempre l’ultima a morire. Ne ho fatto un vero e proprio mantra, continuando a ripetermelo durante le mie meditazioni, giusto per liberare la mente, mentre passo l’aspirapolvere a stiro i panni. Me lo ripeto anche come autoconvincimento, consapevole, tuttavia, che questo momento di grande pressione sociale ed economica a cui ci sta esponendo il Covid 19, non finirà poi tanto presto e quando finirà nulla sarà come prima.

Erano passate poche ore dal lock down di Conte, quando una mia amica mi telefona e tra il serio e il faceto mi dice: “Appena finisce questa quarantena vado da un avvocato, voglio il divorzio”. Ovviamente, abbiamo riso sui dettagli della sua crisi, derivante dalla presenza costante del marito in casa. Si sa, si ride per sdrammatizzare, esorcizzare, minimizzare, ma le statistiche parlano chiaramente: In Cina il boom di divorzi dopo la quarantena forzata ha fatto notizia in tutto il mondo.

Ecco, il virus ha messo agli arresti domiciliari le coppie, costringendole ad una convivenza coatta, senza la possibilità di svaghi, ore d’aria, e in molti casi impegni di lavoro. E se in casa ci sono anche i figli, spesso, la situazione si complica, perché le linee educative divergenti dei coniugi – lui sempre sì e lei sempre no o viceversa – si scontrano continuamente. Succede anche che ci si accorge che quei capolavori forgiati con tanto amore e cura non siano poi così educati, diligenti ed affettuosi come si era erroneamente creduto. Gli spazi si sono ristretti, i tempi dilatati, e respirare continuamente lo stesso clima inizia a provocare crisi claustrofobiche a tratti asmatiche.

Così si segnano i giorni trascorsi in casa con delle x come fanno i carcerati, si leggono articoli che fanno delle previsioni su quando e come si ritornerà alla normalità, mentre il virus ci serve a piccole dosi la più grande lezione di vita che potessimo mai imparare. Come genitori abbiamo protetto i nostri figli da ogni pericolo, a partire da germi e batteri, da spigoli e urti, da cadute e raffreddori, dalla morte, dalle delusioni amorose, da ogni genere di dolore e fallimento, dalle privazioni, dalle rinunce, dai brutti voti. Come insegnante mi sono spesso sentita dire che il bambino si è traumatizzato perché è stato rimproverato o perché ha preso un brutto voto. Ho sentito di genitori che si sono scagliati fisicamente contro i docenti perché non ne hanno accettato una valutazione o una sanzione disciplinare. So di mamme che hanno accompagnato in ateneo i propri figli, il primo giorno di lezione, per paura che si perdessero. Li abbiamo protetti talmente tanto da creare dei soggetti anaffettivi, spesso incapaci di provare emozioni.

Adesso, però, li stiamo osservando in tutta la loro pienezza, ventiquattrore al giorno. Abbiamo acquisito maggiore consapevolezza su quanto siano attenti e concentrati mentre fanno i loro compiti e come rispondano educatamente ai nostri richiami e alle nostre sollecitazioni. Il virus ci ha restituito i nostri figli, tutto il pacchetto intero, senza alcuna distrazione. Da autisti certificati, legalmente autorizzati a scarrozzarli da una lezione di musica ad una di calcetto, da un corso PON ad un’ora di nuoto, da un compleanno al catechismo, dal doposcuola alla merenda con gli amici, adesso possiamo godere di loro in pienezza, senza alcun limite di tempo e garanzia. Peccato che adesso le nostre protezioni siano inefficaci, non possiamo in alcun modo proteggerli dal virus, se non costringendoli a casa. Improvvisamente sono stati privati della loro libertà e degli innumerevoli diritti che hanno sempre vantato. Un’amara sconfitta, soprattutto per noi adulti, completamente disarmati di fronte a questa inaccettabile realtà a cui in nessun modo avremmo mai potuto prepararli. Sarebbe stato impensabile ipotizzare una tale follia.

Lo stesso avviene per i mariti, h24 a casa perennemente in pigiama o tuta, con la barba incolta, i capelli arruffati, le overdosi di internet e televisione e le crisi d’astinenza calcistica. Passano dal divano alla poltrona, cercando senza successo di mimetizzarsi. Si mangia insieme, sempre e troppo. Si dorme insieme. Si respira costantemente la stessa aria, e a saziare la fame di ossigeno certamente non basta la boccata d’aria in balcone o la trasferta in cantina. Anche per le mogli la musica non cambia, senza parrucchiere ed estetista da due mesi, sempre con la stessa vestaglia e le ciabatte, costantemente intrise di odore di soffritto e caramello.Un quadro familiare tanto crudo non lascia grandi margini all’immaginazione. Figuriamoci alla passione.

E poi ci sono le famiglie cicale, quelle che da sempre hanno sperperato ogni centesimo intascato, che si sono concessi le vacanze, i weekend benessere, la macchina nuova, i corsi sportivi, i pranzi al ristorante, lo schermo al Led di ultima generazione, l’I Phone, i pacchetti televisivi e altro ancora, e che a poco più di un mese dal lock down hanno il conto di un rosso mai immaginato.
Ma ci sono anche le famiglie affrettate, quelle che hanno costruito la loro relazione senza prevedere margini di imprevedibilità per il futuro, che non hanno pensato che per rendere stabile una relazione sia necessaria una discreta stabilità economica, che poggia sulla realizzazione professionale della coppia, base indispensabile prima di mettere su casa e di concepire un figlio.

La quarantena si sta, inoltre, presentando come un ottimo banco di prova per tutte quelle coppie che fresche di relazione iniziavano ad accarezzare l’idea di un futuro per sempre. In questi casi, il trucco perfetto, il look mozzafiato, le conversazioni pensate sono state troppo in fretta spazzate via dalla brusca quotidianità. Troppo presto sono arrivati al pettine i piccoli dettagli che fanno della convivenza una vera convivenza: tavolette del water non abbassate, montagne di biancheria accatastate, docce allagate, insensibilità alla cura e alla pulizia degli spazi comuni. Insomma, anche in questo caso, mai la prova generale poteva essere tanto malvagia.

Ed infine, le metto all’ultimo posto per lasciarvi riflettere, ci sono le coppie dove in tempi di normalità la violenza era dosata ad intermittenza, giusto tra un incontro al bar con gli amici e una partita di calcio, tra un acquisto impulsivo e un pranzo non gradito, un bambino che piange e una camicia non stirata, un pretesto e un altro. Ora, al tempo del Covid il terrore in queste famiglie è la costante. È come essere i protagonisti di un triller che non finisce mai, senza audio però, perché le violenze vanno sussurrate, lentamente pressate, sino ad indebolire l’anima ad annebbiare la mente.

Ovviamente ci sono anche le famiglie normali, quelle che affrontano la quotidianità tra alti e bassi, tra cadute e rialzate, tra liti e riconciliazioni e che da questo momento usciranno più forti di prima. E poi ci sono le famiglie perfette, quelle che si vedono in pubblicità, ma che purtroppo costituiscono delle mere eccezioni che confermano le tante regole.

Spero che prima o poi questa quarantena possa finire, consapevole che la lezione amaramente appresa dal Covid 19 non potrà mai essere dimenticata.

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