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Quel libro e l’Annunciata di Antonello

“Cosa leggeva la Madonna”. Un quesito che percorre i sentieri di un giallo filologico

Venerando Bellomo

“E, stato pochi mesi a Messina, se n’andò a Vinezia; dove, per essere persona molto dedita a’ piaceri e tutta venerea, si risolvè abitar sempre e quivi finire la sua vita, dove aveva trovato un modo di vivere appunto secondo il suo gusto”. Così Leonardo Sciascia, citando il Vasari, introduce “L’ordine delle somiglianze”.

Di queste continue partenze dalla Sicilia e dei ritorni è caratterizzata la vita di Antonello da Messina, che nel saggio del 1967 riesce a farne un parallelo con i personaggi brancatiani, con i loro vagheggiamenti, che (non solo loro) costituiscono un “modo di essere” dell’uomo siciliano, condizionato dall’essenza dei luoghi dove vive e dalle persone vi stanno, che a loro volta si connaturano e diventano archetipi. Un’appartenenza inscindibile, viscerale, caratterizzata, oltre che dai colori, soprattutto dalle somiglianze, che, in Sicilia, diventano ordine, categoria. Dove ogni cosa somiglia ad un’altra e ad altra ancora, fino a riscontrarne il paradigma: ed è come dire è già accaduto, lo conosco.

E a quest’ordine non sfuggono certo i personaggi raffigurati da Antonello: anche i santi, le Madonne, che “somigliano” alle donne (di un tempo remoto, ma del quale persiste ancora la memoria) dell’immaginario della tradizione siciliana o, per dirla con Nino Savarese, “In queste donne la pudica timidezza, che contrasta col calore del temperamento, fa sbocciare sui loro volti una grazia contrastata tutta particolare… Col volto stretto tra le falde della mantellina, essa par chiusa in un’armatura che sa di chiostro e d’ovile. Questo classico copricapo, rende la fragranza delle sue guance e l’ardore dei suoi occhi, favolosi e irraggiungibili”.

Ma non è così o quanto meno non è solo così per l’opera come ci appare:  non è soltanto la donna siciliana l’Annunziata di Palazzo Abatellis, secondo quanto scrive Silvana La Spina nel suo romanzo “L’uomo che venne da Messina”. Anche per questa scrittrice l’Annunziata somiglia a qualcuno, a Griet, unico vero amore di Antonello, che, secondo l’impostazione data al suo romanzo (manzonianamente componimento misto di storia e d’invenzione), è la figlia naturale, del pittore fiammingo Van Eyck. Ma anche in questo caso, a ben vedere, c’è un altro ordine di somiglianza, quella per l’identità di nome piuttosto che per l’immagine, per i tratti, con l’altra Griet ritratta nel quadro conosciuto come “la ragazza col turbante” del pittore  Jan Vermeer: somiglianze, quindi, in ogni caso. Ma se la maggiore attenzione nell’Annunciata di Antonello è stata per l’immagine in sé, molto di meno è stato l’interesse per ciò che era scritto nel libro e per la sua induttiva individuazione; in altri termini, cosa stava leggendo la Madonna al momento dell’annunciazione.

Ed è nel libro “Cosa leggeva la Madonna. Quasi un romanzo per immagini” edito da Polistampa, che Michele Feo, docente di Letteratura e Filologia medievale e umanistica nelle Università di Pisa e di Firenze, sottopone il quesito ad attenta analisi, percorrendo quelli che sono i sentieri di un giallo filologico e che viene recensito dal filosofo Alfonso Maurizio Iacono, dove si evidenzia che “l’Annunciazione rappresenta un rapporto difficile e complesso tra il mondo divino e quello umano”, un incontro complicato quello dell’angelo con Maria, sconvolgente, tanto da poterlo assimilare alla  Jetztzeit, al “tempo ora”, dove nell’attuale passato e futuro si giustappongono.

E la risposta l’autore la trova nell’individuare il libro che legge Maria con l’Antico testamento, con la profezia di Isaia “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele”, che diventa “anello di collegamento fra le attese dell’Antico Testamento e il compimento del Nuovo”. Ma ad altra parallela ed ulteriore analisi, muovendo da quell’ordine delle somiglianze tutto siciliano, si è portati a ritenerne la presenza anche in questo peculiare studio. Non distinguendo, ma anzi collegando il libro alla raffigurazione della posizione della mano. E questa annunciazione non può che far pensare all’altra,  ancora per somiglianza, quella dove l’angelo – questa volta raffigurato nell’affresco di Giotto – secondo il Protovangelo di san Giacomo e allo Pseudo Matteo, porta a Sant’Anna, donna di mezza età, madre di Maria, per la futura nascita di quest’ultima.

E sempre nel Protovangelo è riferita la presentazione di Maria al Tempio dove ricevette istruzione religiosa, così da potere indurre che la Madonna ha conoscenza delle Scritture, dei Profeti. Ma il dipinto di Antonello ha una particolarità già nella denoninazione: l’uso del participio, l’Annunciata, come a sottolineare che la notificazione celeste è già avvenuta. E ciò non si può non legare alla mano alzata, ieratica,  della Vergine, come a fermare il prosieguo di ciò che l’Angelo, non presente nel quadro, è intento a ulteriormente a riferire, ma che Maria già conosce, per averlo letto. Sa del figlio, dell’ingiustizia terrena della quale sarà vittima, ma che lei come madre, lì ed ora, non vuole sentire, non in quel momento, in quell’attimo di estrema divina dolcezza, non può esservi posto per l’orrore futuro, dove la gioia verrà sovrastata dalla solitudine, dalla soledad.

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