Fondato a Racalmuto nel 1980

Madonna del Monte: la storia del canto perduto

 Racalmuto, un mistero lungo tre secoli. 

Racalmuto, Santuario Madonna del Monte

Ci sono dei versi che per almeno centocinquant’anni sono rimasti all’oscuro. Cancellati, anno dopo anno, generazione dopo generazione, dalla memoria collettiva di Racalmuto. Sono quei versi che i racalmutesi recitavano “negli otto giorni che precedono la Solennità della Beata Vergine del Monte che si festeggiano solennemente”.

Una saga antica scritta nel 1764 da un monaco agostiniano, frà Emmanuello Maria Catalanotto che per poco più di cent’anni (e forse anche di più se i versi venivano già recitati prima della data di pubblicazione) ha animato la festa dedicata alla Madonna del Monte che tanto piaceva allo scrittore racalmutese Leonardo Sciascia. Dopo secoli di misterioso oblio i versi sono rispuntati grazie al rettore del santuario, Don Luigi Mattina, che qualche anno fa ha fatto ristampare, fedele all’edizione del 1856, il Dramma sacro sulla venuta della Madonna del Monte scritto da Padre Bonaventura Caruselli da Lucca, impreziosito dalla prefazione di Gaetano Savatteri. Fu proprio il Caruselli che abolì il testo di Catalanotto perché, come dice Giuseppe Pitrè, ne disprezzava l’apparato e la poesia.

Ed ecco dunque la Sagra Novena e Coronella delle sette allegreze in onore della nostra Signora Maria Vergine sotto il prodigiosissimo titolo del Monte, Avvocata, e Protettrice dell’Alma Fedelissima di Racalmuto, libricino stampato a Palermo da Giuseppe Gramignani e dedicato a Donna Raffaella Maria Duchessa Gaetani e Buglio, contessa di Racalmuto.

Ma perché tanto disprezzo da parte del Caruselli se addirittura in nota al suo Dramma definisce l’autore di questi versi “un tale” spregiandone appunto lo stile?

Di certo c’è che nelle sue Canzoncine il Catalanotto non fa nessun cenno del viaggio dall’Africa del principe Gioeni, come invece avevano fatto nel 1760, e quindi solo quattro anni prima, Francesco Vinci e Don Nicolò Salvo nelle loro Memorie. A questo punto si può ipotizzare che il predicatore di Lucca abbia lucidamente voluto ignorare il testo in vernacolo siciliano non tanto per la mancanza “di poesia” quanto perché tacendosi di alcuni particolari fondanti della legenda da egli messa in versi si sminuiva l’articolazione romantica e pittoresca della sacra rappresentazione.

Cosa che ritroviamo nel Dramma sacro che ha consacrato la tradizione, leggendaria naturalmente, sull’arrivo della statua di marmo bianco a Racalmuto. E su come andarono veramente le cose dunque fono ad ora niente documenti certi, se non questi testi raccolti dalla tradizione popolare. Ecco perché assumono particolare valore sia i versi di fra Catalanotto sia la ricostruzione drammaturgica di Padre Bonaventura Caruselli.

E’ ormai questa la tradizione ripresa negli anni da storici e religiosi, scrittori e cultori locali. Persino Leonardo Sciascia s’interessò di quest’intreccio tra religiosità e credenza popolare e in particolar modo in Quel che Voltaire s’è perso, nel quale rievoca il miracolo della Vergine del Monte e della leggenda prima costruita e poi smontata dalla Chiesa. Riferimento naturalmente a Padre Caruselli e al gesuita racalmutese Girolamo M. Morreale il quale dedica alla vicenda la monografia Maria Santissima del Monte di Racalmuto, fitta di notizie, pubblicata postuma nel 1986.

Del resto “c’è più merito ad inventarla, la storia, che trascriverla da vecchie carte”, come direbbe il buon abate Vella. E comunque riportare alla luce testi antichi e ristamparli, pur sapendo della loro inattendibilità storica, è un modo per conservare la memoria di un paese che ha scelto di continuare ad amare questa leggenda al punto tale che ancora continua la rievocazione dell’arrivo a Racalmuto del simulacro.

Passano le generazioni (e le amministrazioni) e la recita che si svolge in piazza Crispi, riscritta più di trent’anni fa da Eugenio Napoleone Messana, Nicolò Macaluso e Piero Carbone, resta momento importante della festa: che fa rivivere puntualmente il prodigio con il principe Gioeni e il suo scudiero, Ambrogio, Giacinto e il conte Del Carretto.

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