Sicilia gastronomica. L’appuntamento del venerdì con la rubrica di Antonio Fragapane
Semplice cioccolato? Beh, troppo facile. Nero, ruvido e granuloso al palato, è il Cioccolato di Modica, IGP dal 2018: fave di cacao (le migliori in assoluto, quelle africane provenienti dalla Costa d’Avorio, dal Ghana e dalle più pregiate piante delle isole di Sao Tomè e Principe, unite a quelle sudamericane di Brasile, Ecuador e Santo Domingo), zucchero di canna (ricavato dai locali, e tipici, cannameliti d’Ispica), spezie (qui, la creatività spazia dal peperoncino al cardamomo, dagli agrumi al pepe bianco, fino alle novità alla maggiorana, al latte d’asina e al sicilianissimo nero d’Avola) e, udite udite, lavorazione “a freddo” (antichissima tecnica “presa in prestito” direttamente dagli Aztechi, il popolo precolombiano che fece conoscere la xocoatl a quegli stessi spagnoli che poi per secoli regnarono anche in Sicilia), così da permettere di non far sciogliere i cristalli di zucchero, che infatti sono ben visibili agli occhi, scintillanti, quasi si possono toccare.
Eccone la ricetta, nessun altro ingrediente artificiale, tutto è assolutamente (e rigorosamente) naturale. Il risultato? Unico, e lo potete vedere (e assaggiare) voi stessi. Anche se – curiosamente – sono in pochissimi a ricordare che, all’inizio della sua storia, il cioccolato di Modica non venisse prodotto e venduto in “tavolette”, bensì in forma liquida, come cioccolata da bere.
Oggi, invece, ha una consistenza friabile al tatto, una sapidità che sfiora appena il dolce – mai stucchevole – e una inedita patina chiara che ricopre delicatamente il tutto, frutto dell’emersione del burro di cacao. Caratteristiche uniche che ne hanno permesso una diffusione globale, tanto da essere regolarmente esportato anche in America (scherzosamente, ma non troppo, è come se vendessimo ghiaccio agli eschimesi), e innescato l’ispirazione per concepire e creare liquori, dolci (le mitiche ‘mpanatigghi) nonché una particolarissima birra.
“Di inarrivabile sapore, sicchè a chi lo gusta sembra di essere arrivato all’archetipo, all’assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione”, ne scriveva, estasiato, addirittura Leonardo Sciascia. E il “Maestro di Regalpetra” aveva assolutamente ragione.