Cinquant’anni di “occhi che si cercano”
La letteratura e il cinema snobbano gli amori felici e confortevoli. Un rapporto stabile passa inosservato al filtro dell’artista; appare noioso perché non ha scarti, è privo di colpi di scena, è senza colpi di testa. Ispirano di più le vicende tribolate, le tresche, i tradimenti, i divorzi guerreggiati, le liasons pericolose, i desideri cupi e impervi. Cambiando prospettiva, si potrebbe ragionare sul fatto che gli amori felici e duraturi sono rari e preziosi; perciò difficili da trovare e impossibili da narrare. Servirebbe talento, molto talento, per raccontare la vampa sacra e misteriosa che tiene in vita l’avventura infinita di una coppia. Quel rogo del sentimento che serve a smentire, sia pure raramente, la frase del Principe di Salina ne Il Gattopardo, secondo cui l’amore è «fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta». Una convinzione suffragata dall’esperienza, nel suo caso, come in quello di vasta parte dell’umanità. Così si spiegano i tanti matrimoni che raggiungono traguardi importanti, ma senza febbre e braci luccicanti; avvolti nella cenere, spenti. Insomma, questo per dire che scrittori e registi guardano altrove. La felicità della coppia esclude gli altri, serve a sé stessa, agli occhi estranei appare è noiosa.
Sappiamo molto degli affetti disordinati e delle relazioni contrastate. Manca invece un repertorio o un catalogo delle storie quiete e appagate, scompaiono con i protagonisti. Gli amori di questo calibro forse sono gelosi del segreto che custodiscono. Non svelano a nessuno il meccanismo che una volta caricato non si ferma più, dando vita a un viaggio coniugale esaltante. Uno di questi, forse, lo abbiamo individuato.
Anni Sessanta. C’è una ragazzina di Grotte, magra, elegante, studiosa, con l’aria trasognata. Porta i capelli corti. Ha l’aria da francese svagata, distaccata, consapevole di sé. Di bella è bella. Per avere un’idea, somiglia a Jane Seberg, l’attrice icona della Nouvelle Vague proprio in quegli anni. Facile entrare nella testa di un giovanotto del paese vicino, Racalmuto. Lui la nota e non la perderà di vista, mai più. Si chiama Adele la donna che ben presto diventa punto di riferimento di Gino (un felice nome italiano ormai desueto).
Arriva il tempo in cui, per continuare a studiare, bisogna prendere la littorina e andare ad Agrigento. Per avvicinarla, come per caso, lui e i suoi amici montano tutta un’architettura della seduzione degna di figurare nella sceneggiatura di un film di Mario Monicelli o di Dino Risi. Sul «treno dei desideri» raduna tutti i conoscenti che può e gli fa occupare tutti i posti a sedere liberi del vagone. Il tragitto fra Racalmuto e Grotte dura come un sospiro, quindi bisogna fare in fretta e sperare che il vagone sia quello giusto, quello cioè dove Adele sceglierà di salire. Gli amori destinati a funzionare sono fortunati: lei sale proprio su quella vettura. Uno si alza e le fa posto. La poltrona che si libera, guarda un po’, è quella accanto a lui, al trepidante Gino. Comincia così, «parlando piano tra noi due», una storia che dal 1961 dura fino a oggi. L’appuntamento sul convoglio che dondola e sbuffa diventa lo scenario naturale di un sentimento che si consolida subito. Gli scossoni sulle rotaie favoriscono quelle «labbra che si guardano», le «gambe che si sfiorano», le «tentazioni che si parlano» cantate magnificamente da Paolo Conte. E sarà così per generazioni di ragazzi e ragazze che su quei 20 chilometri traballanti hanno sognato le loro vite insieme, giurandosi amore eterno. Finché è durato, però. Molti hanno deragliato, pochissimi hanno continuato sullo stesso binario.
Insieme, Adele e Gino, hanno attraversato la storia di un’Italia che non c’è più. Condividendo colonne sonore della loro fresca gioventù cantate da Sergio Endrigo, Peppino Di Capri, Connie Francis, Peppino Gagliardi, Gino Paoli, Nico Fidenco. Artisti che allora spopolavano ed erano avidamente ascoltati dall’italietta che stava abbandonando la sua aria spensierata. Erano gli anni in cui si consolidava il gusto per il cinema: la nostra coppia ha nutrito attenzione, dedizione, conoscenza e un amore che – come il loro – coltivano ancora oggi. La folgorazione per il grande schermo ha avuto i volti di Omar Sharif, Julie Christie, Geraldine Chaplin, Alec Guinness e Rod Steiger… che nel 1965 interpretarono Il dottor Zivago, diretto da David Lean e premiato nel ’66 con cinque premi Oscar.
Passano gli anni. Adele prende il diploma al magistrale. Gino diventa ragioniere. Poi lei prosegue all’università. Si laurea in Lingue e insegnerà a lungo alle medie. Lui, dopo un intermezzo romano, entra alle Poste. Fa carriera e diventa direttore di filiale, equilibrato e gentile. Ha l’aria di quei siciliani che parlano poco (perciò un po’ enigmatici), intelligenti, con la piega ironica delle labbra e un marcato distacco verso le cose del mondo.
Si sposano nel 1970, il 5 settembre, nella cattedrale di Catania, e scelgono di vivere a Racalmuto, dove crescono due figli. Conducono un’esistenza che riserva felicità, amarezze, curve e salite e che somiglia in fondo alle vite di tutti. Ma tutto è più lieve se il peso viene portato da un’incrollabile alleanza d’amore. Il 2020 è l’anno delle loro nozze d’oro. Mezzo secolo volato via fra intesa e passione, cinquant’anni di «occhi che si cercano», dieci lustri di lussureggiante emozione.
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Ad Adele Terrana e Gino Sardo gli auguri di tutta la famiglia di Malgrado tutto