Fondato a Racalmuto nel 1980

Teatro di Racalmuto: quell’ouverture di 140 anni fa

Era il 9 novembre 1880 e con il Rigoletto di Giuseppe Verdi apriva i battenti il “Regina Margherita”. In sala il senatore del Regno Francesco Paolo Perez, che era stato ministro dei Lavori pubblici durante la costruzione. Il destino di un luogo che nel tempo avrebbe vissuto tante vicissitudini con aperture e chiusure ad intermittenza.

Era tutto pronto già da diverse settimane. Tutto doveva essere maestoso. La festa per l’inaugurazione del teatro doveva rimanere nella storia. Non si è badato a spese infatti per l’imponenza che avrebbe dovuto avere l’apertura del “Regina Margherita” di Racalmuto i cui lavori erano stati avviati dieci anni prima grazie al sindaco Gaspare Matrona. Nell’autunno di centoquarant’anni fa toccò al sindaco Gioacchino Savatteri, ai suoi assessori e consiglieri comunali, recarsi in diverse città della Sicilia e persino a Napoli per assistere a spettacoli di lirica e prendere contatti con le migliori orchestre e compagnie teatrali.

Il piccolo e delizioso teatro di Racalmuto doveva essere lo specchio di una comunità ricca che grazie ad un notabilato illuminato e colto aveva scelto di realizzare nel paese di sale e zolfo un teatro bello, alla pari di tante sale siciliane costruite in quel periodo. Si scelse una data: 9 novembre 1880, un martedì. Una scelta quasi obbligata perché proprio una settimana prima si apriva la linea ferroviaria che collegava Agrigento e Caltanissetta e quindi con fermata anche alla stazione di Racalmuto la cui piazza, quel giorno, si riempì di carrozze signorili per accompagnare tante personalità provenienti da ogni parte della Sicilia invitati a partecipare alle cerimonia inaugurale. Alla stazione arrivò anche il senatore del Regno Francesco Paolo Perez, già Ministro dei Lavori Pubblici e dell’Istruzione pubblica dell’epoca, amico dei Matrona e dei Savatteri, per il taglio del nastro.

Tutto era in ordine, le luci accese, velluti tirati a lucido, il sipario dei “Vespri siciliani” pronto ad alzarsi. Il pubblico sparso tra le poltrone della platea e i due ordini di palchi. La compagnia scelta, diretta da Argenide Innocenti, pronta sul grande palcoscenico per la rappresentazione del Rigoletto, l’opera di Giuseppe Verdi rappresentata la prima volta trent’anni prima alla Fenice di Venezia.
Si alza il sipario, fioccano vigorosi gli applausi. Sul palco Lucia Raimondi Nobiglione (prima donna), Argenide Innocenti (mezzo soprano contralto), Giovanni Criserà (primo tenore), Filippo Nobiglione (primo baritono), Luigi Di Iorio (primo basso) che poche settimane prima si erano esibiti al teatro di Mazzarino.

I PROTAGONISTI Nelle foto piccole, da sinistra, Dionisio Sciascia, Gioacchino Savatteri, Gaspare Matrona, Francesco Paolo Perez e Giuseppe Picone

Non sappiamo se tra il pubblico c’era anche Giuseppe Carta, il pittore palermitano che dipinse il velario storico, la volta con l’Apoteosi di Apollo e le figure nei due pennacchi, Melpomene e Talia, la tragedia e la commedia. Ma c’era senz’altro l’agrigentino Dionisio Sciascia, l’allievo del Basile che progettò il teatro. E c’era pure Giuseppe Picone, avvocato e storico agrigentino di origini racalmutesi, autore del ponderoso volume Memorie storiche agrigentine. Così Picone raccontò l’evento nelle pagine del settimanale agrigentino L’Indipendente:

“Il teatro, il ricevimento, l’inaugurazione, la festa si han dato la mano per concorrere in Racalmuto ad una manifestazione solenne di stima e di affetto per opere buone, che vanno facendo i Comuni, d’ospitalità cordialissima, che i cittadini hanno usato agli invitati tutti indistintamente: dal Senatore Perez, dal Prefetto e deputato del Collegio, dal Presidente del Consiglio Provinciale, allo scuro girgentino. E’ un’opera nuova, di nuovo disegno, di nuova creazione. L’Ingegnere Sciascia ha saputo in quella armonizzare l’antico teatro col moderno. Vedi ogni cosa apposta come nel teatro antico; ma ogni cosa con carattere proprio, che in perfetta armonia concorda all’opera intera un tono particolare, che non hanno gli altri teatri. E’ splendido, con ornamenti dorati parcamente distribuiti, con i pilastri non dritti, non perpendicolari, ma formati ad S e ricurvi un po’ all’indietro verso la base per lasciare vedere a chi siederà vicino ad essi. Dopo due file di palchi c’è un grande parterre, che si estende libero e spazioso, lungo per quanto si estende la curva. Buonissime le scene, magnifico il sipario, spaziosa la ribalta. La volta sembra una cupola; è posata leggerissimamente alle mura esterne del Teatro: è istoriata dal Tempo e dalle sue principali scene della vita ideale, che si succedono nelle sante ore della giornata. Arditi, quei quattro cavalli che trasportano a tuta corsa il Tempo. Dopo l’inaugurazione echeggiò la classica musica del Verdi”.

Picone, a quanto pare, non apprezzò molto alcuni artisti della compagnia della Innocenti. Dell’opera rappresentata scrisse che non lasciava “nulla a desiderare”:

“Il tenore cantò con molta preoccupazione, è giovane ancora, non è padrone della ribalta; manca di spontaneità, nel porgere, nel sentire la passione, ma una voce posata, delicata e matta per il falsetto; nelle note basse la sua voce è fluida, ben cadenzata, nelle acute non piace affatto; forse perché manca di nervo, di vigoria dell’intonatura; ad ogni modo è un giovane che potrà far bene la sua parte, se studiando meglio emenderà i suoi piccoli difetti. Dei coniugi Nobiglione non faccio menzione per risparmiare un lungo elogio. Sono d’antica conoscenza. Il Bellini di Napoli li ha ricevuti nelle sue scene. Però se l’uno è bravo baritono non è un Rigoletto. Se fortunatamente non ha i difetti fisici del Rigoletto cerchi di procurarseli con l’arte. Si desidererebbe ancora un po’ di slancio, di fuoco nella sua parte”.

Non piacque dunque così tanto Il Rigoletto, dramma di passione e tradimento, amore e vendetta che dal punto di vista musicale, fin dal preludio, ha un ripetersi costante del tema della maledizione. Quasi a segnare il destino di un luogo che nel tempo avrebbe vissuto tante vicissitudini: aperture e chiusure ad intermittenza. Sia come sia, quel 9 novembre, comunque, il teatro apriva i battenti. Ai festeggiamenti, come è ovvio, parteciparono ospiti illustri, politici della provincia, famiglie benestanti e professionisti di Racalmuto e dei paesi vicini.

Assente al grande evento la gente comune, il popolo, che aveva avuto modo di ammirare il teatro soltanto in occasione delle prove di acustica. Ma il teatro era stato voluto dalla borghesia locale per tutta la comunità: dopo la “prima”, tutti i racalmutesi poterono poi seguire ed ammirare gli spettacoli che sicuramente contribuirono a far nascere e crescere nel paese, che contava allora poco più di sedicimila anime, la passione per la lirica, la prosa e l’arte.

Dopo lo spettacolo seguì una gran festa da ballo. E non mancarono bevande, pasticceria assortita, confetti finissimi, frutti canditi, biscotti d’anice, caffè e liquore “Vespri siciliani” comprati tra Palermo e Racalmuto. Il tutto servito in un prestigioso servizio da tavola realizzato per l’occasione (porcellana finissima con decori in blu e con lo stemma della città) che ancor oggi fa bella mostra di sé nella sala foyer del teatro, tra i costumi di scena donati dal tenore Salvatore Puma che in questo teatro, così come avvenne per il tenore Luigi Infantino, per Leonardo Sciascia e per tanti racalmutesi, scoprirono le loro passioni per la musica, per il bel canto, per la prosa e per il cinema.

Quel 9 novembre del 1880, probabilmente, cambiarono i destini culturali di una città già ricca e colta (e c’era già un locale adibito a teatro, per pochi, all’interno del palazzo dei Savatteri, nei pressi della via denominata oggi, per l’appunto, Teatro Vecchio) allora conosciuta per aver dato i natali ad un pittore di grande vaglia, Pietro D’Asaro, ad un medico illustre, Marco Antonio Alaimo, ad un teologo, Pietro Curto, che nel 1656 si distinse nelle scienze metafisiche, e a poeti e giuristi, santi ed eretici.

Dopo la pomposa inaugurazione, le rappresentazioni si susseguirono con compagnie liriche e drammatiche provenienti da ogni parte d’Italia. Ma solo dopo tredici anni, nel 1893, il teatro fu chiuso per lavori di manutenzione. Funzionò nei primi del Novecento fino al 1915 quando le rappresentazioni furono sospese per diversi anni durante il primo conflitto mondiale. E così avvenne nel corso della seconda guerra. E poi riaperto e poi ancora chiuso nel 1964, stavolta per lunghissimi anni, fino al 2003.

Una cosa bella è una gioia, per sempre, diceva William Yeats. E il teatro Regina Margherita di Racalmuto resta, a centoquarant’anni da quella gloriosa e dimenticata ouverture, una cosa bella seppur vuota e spenta. Un teatro oggi chiuso, vuoto e spento (per colpa di maledette burocrazie) che, come ci disse una volta Marco Paolini, “toglie il sonno e tormenta l’anima”.

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