Il piatto tipico del 13 dicembre, giorno consacrato a Santa Lucia, consumato in buona parte della Sicilia
L’Anno del Signore 1693, per l’intero Val di Noto, fu catastrofico a causa di un terribile terremoto che praticamente rase al suolo la maggior parte delle case e dei palazzi allora presenti (e abitati). Subito dopo, ci fu una strabiliante ricostruzione, durata decenni ma che donò al mondo artistici gioielli architettonici di cui ancora oggi possiamo ammirare bellezza e magnificenza: il Barocco siciliano, dal 2002 inserito nel Patrimonio dell’Umanità tutelato dell’Unesco.
Perché ne stiamo scrivendo qui? Molto semplice, perché una particolare leggenda narra di una commemorazione dell’evento sismico appena descritto, che si stava svolgendo a Siracusa nel 1763, anno di una micidiale carestia alimentare che in tutto il territorio aretuseo (ma non solo) stava mietendo tantissime vittime.
Si racconta che durante un’omelia, un sacerdote si rivolse direttamente alla concittadina Santa Lucia per intercedere e far arrivare proprio lì a Siracusa un battello carico di grano, così da poter sfamare tutti e salvarli da una morte sicura. Il giorno dopo, inaspettatamente (ma secondo la credenza, miracolosamente), attraccarono nel porto della città prima una nave proveniente dal lontano Oriente, poi un’altra, successivamente un vascello, seguito da altri tre. La loro particolarità? Erano tutti stracarichi di grano. Ma la cosa ulteriormente strana fu la dichiarazione di uno dei comandanti delle navi ormeggiate, il quale dichiarò che quel porto non era affatto la meta finale del suo viaggio, ma che era stato costretto a entrarvi a causa dei venti contrari scatenatisi in mare aperto e scoprendo che si trattasse di Siracusa solo dopo aver sganciato l’ancora.
Cosa successe dopo? Beh, sempre la leggenda continua narrando di un assalto a tutte le navi appena arrivate e della successiva distribuzione del grano a tutti gli abitanti della città, i quali erano talmente affamati che, rientrati nelle rispettive case, non ebbero neanche la forza (e la voglia) di macinarlo per ottenerne farina con cui preparare pane e pasta, limitandosi invece a bollirlo così com’era, in acqua salata, e a condirlo semplicemente con un filo d’olio d’oliva. Era il 13 dicembre e, dopo quegli avvenimenti, quel giorno fu consacrato a Santa Lucia, la Santa del miracolo della salvezza siracusana, che divenne anche la Patrona della città e che si iniziò a omaggiare con una particolare consuetudine: il 13 dicembre di ogni anno, i siracusani avrebbero mangiato solo ed esclusivamente grano (e legumi), evitando i farinacei, quindi pane e pasta. E quell’inedito piatto di grano cotto e condito in maniera molto semplice fu ribattezzato Cuccìa, termine che deriva dal greco antico kokkìa (“granulo”), da cui l’etimo dialettale isolano cocciu, ovvero “chicco”.
Questa appena descritta è la versione siracusana del racconto, ma sappiate che ne esiste una identica ma datata 1646 e ambientata a Palermo, città dove, in effetti, il giorno di Santa Lucia è completamente dedicato al consumo di Cuccìa (quella dolce, però), arancine e panelle, quindi anche lì niente farinacei.
Ecco, quindi, la suggestiva leggenda che narra l’invenzione della Cuccìa, una cui prima traccia scritta la si ritrova però in un antico dizionario, il Vocabolario siciliano-latino di Lucio Cristoforo Scobar, stampato a Venezia nel 1519 e in cui la stessa ricetta è già definita Cucchia: triticum decoctum (“Cuccìa: grano bollito”). Incongruenze storiche nelle date? Vabbe’, se c’è di mezzo la devozione popolare, sono dettagli, abbiate un po’ di comprensione, suvvia.
E adesso veniamo ai nostri giorni, quelli in cui la Cuccìa, oltre a essere il piatto tipico del 13 dicembre in buona parte della Sicilia, è consumata all’occorrenza e secondo i sacrosanti gusti, nella doppia variante salata e dolce. La prima è quella originale e molto semplice: grano bollito in acqua salata (cui, in qualche località, si aggiungono anche i ceci) e poi condito con olio e spezie. La seconda, invece, è quella molto più sfiziosa che prevede la cottura del grano in acqua dolce, successivamente condito con ricotta di pecora o vaccina (cui qualcuno aggiunge anche crema di latte), cannella e scaglie di cioccolato fondente.
Il risultato? Immaginatevi il delicato sapore del grano, reso molto tenero dalla lunga cottura, unito alla cremosità della ricotta, all’aroma della cannella e all’amaro del cacao. Fatto? Benissimo. E adesso correte subito a prepararla…