Letture. “Dalle parti di Leonardo Sciascia”. La recensione di Venerando Bellomo del libro di Salvatore Picone e Gigi Restivo
Afferma Gaetano Savatteri, nella sua prefazione, che il libro di Salvatore Picone e Gigi Restivo “Dalle parti di Sciascia”, Zolfo editore, non è una biografia dello scrittore, ma una topografia particolare, che é descritta – con esplicito riferimento a Vincenzo Consolo e al suo “Il sorriso dell’ignoto marinaio” – da una spirale, dal giro vorticoso della chiocciola. E Savatteri ha ragione, sia nel citare Consolo sia nel sostenere che il libro si srotola come una spirale.
Ed é di tutta evidenza che gli autori amano l’epigrafe che, come altri elementi del paratesto, è quanto di più vicino, di più connaturato al testo ci sia, così come Consolo sosteneva, a proposito di Sciascia, in un articolo raccolto in “Di qua dal faro”.
Il libro più che una spirale é un’elica che, nel suo sviluppo tridimensionale, trae dalla profondità. Curva ingannevole, nel vederla planimetricamente, dove ogni punto é solo in apparenza coincidente con quello del piano più basso o con quello più in alto: in realtà un altro punto, un altro luogo, che col primo si somiglia, come si somigliano tutti i paesi dell’entroterra siciliano, ma non si identificano, non coincidono.
E questo si può ben dire di Regalpetra, nel testo di Sciascia riportato in apertura del libro: lo scrittore, per ben due volte, ne sottolinea l’ inesistenza, affermandone, di converso, secondo la logica che gli é tipica, la sua esistenza altra. Regalpetra quale “topos” della Sicilia di “scoglio”: non specifico, non particolare, dove tutto è già accaduto prima ancora che accadesse “al di qua dal faro”. Una biotopografia della quale fanno parte gli autori che respirano la stessa aria e vedono gli stessi colori: scrittori naturalmente sciasciani.
I luoghi di Sciascia sono riconducibili ad uno solo: il suo paese, quello della sua memoria, della sua intimità, quello al quale viene ricondotto ogni altro luogo frequentato dallo scrittore, in ogni sua consistenza, perché, in una sorta di trasfigurazione, al primo somiglia, così come è somigliante all’uomo siciliano il ritratto dell’ignoto marinaio. Ed é in questo ricondurre, frutto della severa ed analitica osservazione, a ciò che profondamente si conosce, si percepisce quello che ancora non è manifesto ma del quale se ne ha visione. Così sono i luoghi che, ovunque situati, somigliano ad altri luoghi, persone che somigliano a persone, fatti, ovunque storicamente accaduti, somigliano ad altri fatti.
La spirale o elica che richiama Savatteri nell’esperienza Sciascia subisce una consustansazione nel turbinio delle processioni del venerdì Santo in Catalogna, evento e luogo che, in un effetto di specularitá, somiglia alla Sicilia. Un dipanarsi, dunque, di un enorme gomitolo che fanno gli autori per Sciascia attraverso Sciascia, che conoscono ed hanno imparato a conoscere negli anni, nel tempo; che per mano conducono il lettore tra i familiari dello scrittore, a conoscerne le donne che lo circondavano, gli amici, gli archetipi umani, le parrocchie, le città, le contrade e i viaggi, sempre con continui rimandi alle tracce scritte, che nell’occasione mutano da fatti letterari e diventano prova e rogito.
Un viatico per i temi di Sciascia che si sintetizzano e coagulano intorno alla ricerca della verità – che negli scritti appare diffusa ma segregata- e della giustizia, attraverso l’affermazione dell’illuministica ragione. Evidenziando che queste rischiano costantemente d’essere usurpate dall’abuso del potere che, nella sua prevaricazione, fa apparire eretici quanti vi si oppongono: eresia quale forza della logica.
Ed eretica appare anche questa riflessione, questo omaggio, se si pensa che é scritto da un grottese per due racalmutesi o se si preferisce da un racalmarese per due regalpetresi.