Fondato a Racalmuto nel 1980

La cucina siciliana tra storia e curiosità. “Testa di turco”

Una specialità che merita estrema attenzione 

Antonio Fragapane

Mettetevi comodi, perché la prossima scena sarà parecchio movimentata. Gli eventi che vi stiamo per raccontare si verificarono in una pianura direttamente affacciata sul mare della località di Donnalucata, un borgo allora posto sotto il controllo della città di Scicli e oggi in provincia di Ragusa. Era una fredda notte di marzo dell’Anno del Signore 1091, e lì si stava scatenando una furiosa battaglia tra le truppe normanne del Gran Conte Ruggero, sceso in Sicilia per liberarla definitivamente dalla dominazione araba, e l’esercito saraceno, pronto invece a difendere il proprio potere sull’isola. L’esito appariva ormai scontato, troppo solida la difesa dei Mori, il destino sembrava già segnato e la storia siciliana appariva destinata a essere ancora scritta da emiri e sultani. Ma, all’improvviso, accadde qualcosa. Era appena comparso un cavallo bianco con sopra una donna vestita con un busto rosso, avvolta in un mantello celeste, testa coronata d’oro e in mano un’appuntita spada lucente. Era la Madonna, scesa in campo al fianco dei cristiani e lì presente per sconfiggere i musulmani. Cosa che puntualmente avvenne, ribaltando le sorti della battaglia e trasformando la piana su cui avvenne lo scontro in un luogo agghiacciante: ovunque ci si guardasse intorno, infatti, c’erano teste saracene mozzate. Questa appena narrata è, chiaramente, la tetra leggenda alla base della Festività della Madonna delle Milizie, celebrata proprio a Scicli (cittadina di cui, tra l’altro, la Vergine è Patrona) l’ultimo sabato di maggio di ogni anno.

Ma il racconto appena esposto è anche la storia che spiega come sia nato il dolce sciclitano per eccellenza, concepito proprio per commemorare la vittoria dei cristiani sui musulmani. E indovinate un po’ com’è stato chiamato? “Testa di turco”. Va bene, siamo d’accordo, il suo nome non brilla certo per originalità semantica, ma per tutto il resto, questa specialità merita invece estrema attenzione. All’apparenza potrebbe sembrare un bignè dalle notevoli dimensioni, invece non è così, perché nell’impasto il classico burro è sostituito dal più particolare (e isolano) strutto, poi sciolto nella farina che sarà unita a un numero cospicuo di uova, acqua e un po’ di sale. Cotto in seguito al forno, salta subito agli occhi per la sua caratteristica estetica più originale, ovvero quella di sembrare un turbante, il tradizionale copricapo arabo. E a vederlo così, sembrerebbe quasi un cortese omaggio alla cultura musulmana che tanto ha arricchito la nostra isola, peccato però che adesso ne conosciamo la genesi. La Testa di turco di Scicli è poi farcita con crema di ricotta vaccina (tipica dell’area siciliana sudorientale) che può contenere scaglie di cioccolato fondente, oppure granella di mandorle o pistacchio. Abbastanza comune è anche la variante con il ripieno di crema bianca al latte, per quello che è anche conosciuto come il “dolce dei vinti”, elaborato per celebrare un lugubre trofeo di guerra.

A questo punto, però, dopo aver assistito a una sanguinosa scena di battaglia e dopo aver saputo delle sue conseguenze, potreste pensare che non ci sia nient’altro da aggiungere: scoprire che “assaggiare” la storia possa essere (anche) così inquietante, forse già basta e avanza. Ma siamo in Sicilia, quindi c’è sempre dell’altro, in ogni rivolo, in ogni angolo, in ogni fessura, e ve lo dimostriamo.

Spostiamoci, quindi, di circa duecentocinquanta chilometri sull’asse siciliano sud-nord e arriveremo in un paese adagiato sulle Madonie, Castelbuono, la “piccola capitale dei Ventimiglia” e terra di manna e panettoni tutto l’anno. Ma, ovviamente, non solo di tutto questo, perché nel suggestivo borgo madonita, esiste uno squisito dolce tipico delle feste che vanno dall’Immacolata al Carnevale, della tipologia al cucchiaio, creato alternando strati di crema al latte aromatizzata alla cannella e al limone (ne esiste anche una versione con cacao amaro in polvere) con altri strati di sfoglie di impasto fritto, le scorce, e nella parte sommitale poi condito con scaglie di cioccolato fondente e “codine” di zucchero. Il suo nome, secondo la tradizione locale, deriverebbe da una analogia molto particolare: la sensazione olfattiva della crema aromatica sarebbe come quella che promanerebbe dalla testolina di un neonato, quindi un bimbo appena nato e non battezzato, un turcu (ovvero un non cristiano), tanto che questa specialità è chiamata, infatti, “Testa di turco”. E’ proprio così, avete letto bene, in Sicilia esistono due dolci che si chiamano esattamente allo stesso modo, ma per motivi completamente diversi, e sono l’espressione tipica dell’inventiva pasticcera di due aree isolane molto distanti e anche molto diverse tra loro.

Dite la verità, secondo voi esiste una diversità più omogenea di quella siciliana?

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