Per non perdere il sorriso in un momento così particolare
C’era una volta sta gran camurria di Coronavirus. Gli scienziati lo chiamavano Covid-19 come se ce ne fossero stati altri diciotto pronti ad aggredirti.
Ma perché Covid e non, ad esempio, un altro nome più bello? Si chiese subito il mondo quando cominciò a circolare nel Paese dei Pipistrelli.
“L’avrebbero potuto chiamare Cocò-19”, si chiese invece il primo uomo siculo-italiano dopo che fu fulmineamente messo in quarantena, tale Carmelo Di Carmelo e Di Carmela, un picciotto di una quarantina d’anni che i picciotti delle nuove generazioni maturano tardi con gli anni. Chiuso in forzata solitudine in un appartamento d’hotel, senza poter più avere contatti con altre persone, neanche con l’illibata moglie, Carmelo Di Carmelo e Di Carmela si disse infatti:
“Questa è propria una gran rottura di cocò!”, battezzandolo per come meritava.
Sta camurria di Covid-19, na cosa nica nica ma molto pericoloso nella sua penetrante invisibilità, sentendo le parole di Carmelo si arrabbiò tanto ma non reagì come in altre occasioni. Con Carmelo trattenne l’istinto aggressivo, entrando nel corpo di tanti altri e non in quello della giovanissima moglie di Carmelo Di Carmelo e Di Carmela, tale Rosalia Di Rosalia e Di Rosalio, quasi a sfregio, per non consentirgli di stare con lei da solo, rinchiuso in quarantena:
“Camurrìa!”
Carmelo era al suo attesissimo primo giorno del viaggio di nozze e con la moglie Rosalia si preparava a consumare e a santificare un’unione rinviata per anni e anni, che quegli anni rinviati sembravano un’eternità. Perché nel paese di Carmelo e Rosalia, il Paese dei Ravanelli, tutto si rinviava a dopo il matrimonio. Era un’antica usanza e costumanza dei padri, e dei padri dei padri dei padri, per gustarsi, nel suo massimo splendore, la prima notte di nozze. E non se la gustavano solo gli sposini, ma il paese intero con partecipazione di popolo. Una volta consumata la prima notte, gli sposini mandavano un messaggino nel gruppo di WhatsApp del paese e il paese scendeva in piazza e festeggiava con i giochi d’artificio, ballando, cantando, brindando e replicando, per chi poteva, la prima notte del loro viaggio di nozze.
Illibata lei e illibato lui, almeno sulla carta, si stavano preparando quando Carmelo cominciò a starnutire e a starnutire tra le luci arrossate e soffuse della camera d’hotel, mentre Rosalia si era nel frattempo allontanata per andare in negozio a comprarsi il Toccamitoccami, il profumo total body consigliato alle sposine. Giusto il tempo del primo starnuto che scattò l’allarme Covid-19 e, in un hotel che all’istante si svuotò di tutte le coppie scese ignude in strada, intervenne l’esercito in tenuta antivirale saldando la stanza di Carmelo e mettendolo in quarantena, col divieto assoluto di aprire la porta e di avere qualsiasi contatto con altra e qualsiasi persona anche con se stesso: non poteva né toccare né toccarsi.
“Ma io aspetto a Rosalia!”
“E chi è Rosalia?”
“Comu cu è Rosalia: me muggheri! E stasira n’aviamu organizzatu…”
“È sua congiunta?”
“Ancora no, purtroppo!”
“Ma ha detto che è sua moglie”
“Sì, mia moglie è, ma non ancora congiunta. Ci dovevamo congiungere proprio ora, porca miseria”
“È il nome di sua moglie?”
“Cosa?”
“Dico: Porca Miseria è il nome di sua moglie?”
“No, della sua! Complimenti, un bel nome davvero. E come faccio io adesso senza la mia?”
Una bella domanda, che Carmelo rivolse all’intero esercito del Paese dei Pipistrelli piangendo come quando da piccolo piangeva per avere Big Jim perché senza Big Jim non poteva giocare con la Barbie di Rosalia, perché si conoscevano da allora, da piccoli, e sono cresciuti assieme e volendosi sempre bene, ma solo platonicamente, senza baci, senza abbracci, senza niente, ogni tanto solo qualche furtivo sguardo che pagavano con la multa. Tutto rinviato a dopo il matrimonio e alla prima notte del viaggio di nozze, così come sottoscritto negli accordi prematrimoniali con i suoceri.
I soldati dell’esercito antivirale allargarono le braccia e Carmelo aumentò la quantità d’acqua che gli usciva dagli occhi. Un generale si impietosì e chiese e ottenne dalle autorità centrali e periferiche un provvedimento speciale:
Carmelo cominciò a saltellare dalla felicità, a baciare e ad abbracciare il generale che non fece in tempo a divincolarsi, contagiandosi pure lui e tutto l’esercito antivirale con sta camurria di coronavirus che non se ne poteva più, che uno si infettava solo con le orecchie a sentirlo nominare tanto se ne parlava, perché non si parlava d’altro. Tutti i problemi, tutte le altre emergenze, erano di colpo spariti. I moribondi e i familiari dei moribondi non andavano più al Pronto Soccorso ad aggredire i medici esauriti tanto erano concentrati sul problema di sta camurria di Covid-19 che si esaltava andando per strade, per piazze, negli stadi, in tutti i luoghi affollati dove si respirava.
Poi l’emergenza d’improvviso cessò e dopo nove mesi esatti da quel primo giorno del viaggio di nozze di Carmelo e di Rosalia, nacque non si sa come Covidino, figlio certificato della loro unione e delle rigorose restrizioni che la coppia siculo-italiana seppe superare con passione, impegno e tanta fantasia, stando con piacere chiusi a casa, in camera da letto, e lavandosi in continuazione:
“Alla facciazza di sta camurria di coronavirus!”.
Nel Paese dei Ravanelli, da quell’anno, si cominciò a festeggiare il miracolo della nascita con i giochi d’artificio. E a ogni anniversario, puntuale, tutte le coppie si chiudono in quarantena, in autoisolamento, per ripetere il miracolo del Covidino che sono diventati così tanti che in paese ora si chiamano tutti così.
L’amore è proprio contagioso ed è grazie all’amore che l’umanità si è sempre ripresa e moltiplicata, anche senza calcolatrice, facendo bei numeri.