Fondato a Racalmuto nel 1980

“Quanto sarebbe bello se a Racalmuto ci fosse il mare”

Conversazione con Gaetano Savatteri, dai suoi romanzi è tratta la serie Tv Màkari. Piccionello? A Racalmuto come lui ce ne sono almeno quattro, ma non posso fare i nomi perché mi tolgono il saluto. Questa sera su Rai 1 la quarta e ultima puntata della fiction

Gaetano Savatteri

“Pronto?”

“Sì!”

“Gaetano?”

“Sì!”

“Sono Valeria.”

“Sì!”

“Gaetano, andremo avanti con tutti questi sì?”

“No, è che non capisco se mi senti?”

“Ti sento forte e chiaro”.

“Benissimo, dimmi tutto”.
“Gioia, ti ho telefonato per un’intervista”.

“Che ci dobbiamo dire?”

“Allora Gaetà, ti prego non te la tirare”.

“Ma che tirare, proprio cu tia?”

“Allora Gaetano, ti ho chiamato per fare un’intervista”.

“No, ma che intervista, chiamiamola conversazione”.

“Bene, chiamiamola come ti piace, ma rispondi alle mie domande, per favore”.

“Va bene”.

“Ma tu a Makari ci sei stato veramente?

“Sì certo”.

“Quando?”

Un sacco di volte ci sono stato a Makari. Perché a Makari c’è la mia amica Marilù Terrasi, la vera Marilù, una donna palermitana che per tanti anni ha fatto teatro sperimentale, ma legato alle nostre tradizioni siciliane e poi a un certo punto negli anni 80, anche per motivi suoi, si trasferì a Makari e lì faceva ristorante in casa. Marilù aveva una casetta, organizzava delle cene. Si andava lì, si stava una sera, c’era anche un posto per dormire. Poi prese un alberghetto lì vicino, e da allora io  quasi ogni anno o per qualche giorno o per una settimana da Makari sono sempre passato.

Il Lamanna che ritorna a Makari eri veramente tu?”

No, no, no, Lamanna è quello che c’ha la casa, eccetera. A me è sempre piaciuto molto quel posto. Adesso è diventato un po’ complicato prenotare, così io ho sempre pensato: quanto sarebbe bello se a Racalmuto ci fosse il mare? Così magari uno che ha la casa alla fontana, si affaccia e vede la campagna da un lato e dall’altro vede il mare. Un mare, che ti posso dire, che arriva fino allo scorrimento veloce. Io ho capito così qual è la differenza tra noi siciliani, quelli che siamo dell’interno come Racalmuto, per esempio dove c’è freddo e umidità, e quelli invece che stanno sul mare. Per questo da ragazzi dicevamo sempre questa cosa “Quanto sarebbe bello se a Racalmuto ci fosse il mare almeno un mese d’estate”, per questo ogni tanto scappavamo con la Vespa. Certo, Racalmuto è bellissima, si vede Il Castelluccio, c’è la fontana, però se ci fosse il mare almeno una volta al mese, oppure ogni 15 giorni come i turni d’erogazione dell’acqua, sarebbe bellissima. Così, uno oltre ad avere l’acqua in casa ce l’avrebbe anche fuori casa. Così quando arriva l’acqua uno dice: arrivà u mari. Anche senza i turni, quando arriva arriva.

Lamanna dalla serie televisiva è venuto fuori come un uomo affascinante, interessante, professionalmente affermato, intuitivo, curioso, perspicace. Ma è anche un uomo che mostra le sue fragilità, uno che ha perso il lavoro e ritorna da dove è venuto. Fa un salto indietro. Ma è anche un uomo che sa innamorarsi e che mostra le sue insicurezze, la sua gelosia. Insomma è profondamente umano. Lo avevi pensato così?

Io non ho mai immaginato che faccia avesse, però ho immaginato un carattere, uno che arriva lì perché si è convinto di essere un fimminaro e che poi anche in un momento di fragilità incontra questa ragazza giovane, moderna, contemporanea, non succube dell’uomo, nemmeno di lui, nemmeno del suo fascino, tanto che lo sfotte, lo prende in giro. “Ma chi ti senti?” E lì lui perde la sua veste di sciupafemmine, scopre la sua fragilità e quindi si scopre fragile di fronte a una donna che tenta di tenere a bada e si chiede: forse sono innamorato, forse no, forse sì. Capisce che lei lo sta conquistando soprattutto con la sua intelligenza.

Suleima è la donna che tutti vorremmo essere: bella, sensuale, intelligente, intraprendente, uno spirito libero. Chi è Suleima? L’hai mai realmente conosciuta.

Nel mio racconto Suleima non è una siciliana, è una di Bassano e, anche se ancora non è scritto, ha una sua antica origine siciliana. Io nel descrivere Suleima ho pensato a tante donne libere e indipendenti, soprattutto donne della nostra Sicilia, dove è più difficile spesso esserlo, dove l’indipendenza non è una cosa acquisita. Sto parlando della libertà di pensiero, non parlo della libertà di movimento. Sto parlando di libertà di testa, di saper affrontare l’altro sesso con la consapevolezza di avere delle qualità in più rispetto agli uomini.

Perché l’hai chiamata Suleima?

Claudio Gioè ( Lamanna) ed Ester Pantano (Suleima) in una scena di Màkari, in onda su Rai 1

L’ho chiamata così perché una volta ho incontrato una che si chiamava così, Suleima, e mi colpì perché aveva proprio questo nome, credo sia stato in un incontro di lavoro per un evento da fare a Racalmuto. Ero con Gigi Restivo. Poi non l’ho più rivista. Mi colpì molto questo nome esotico che non si sapeva se fosse magrebino o sudamericano e allora nello scegliere un nome per questo personaggio ho scelto questo nome un po’ anche per darle quel tocco di mistero.

Uno dei personaggi che sicuramente piace al pubblico è quello di Piccionello. A Racalmuto tu hai un amico Piccionello o ce l’hai avuto?

Ti posso fare tre o quattro nomi. No, forse non li posso fare perché mi tolgono il saluto. Piccionello è uno di quelli che ce ne sono tanti dalle nostre parti. È uno di quelli che anche se all’inizio possono sembrare buffi o ridicoli, tu scopri che hanno una loro saggezza di vita, un loro modo di stare in armonia con il mondo. Hanno una loro saggezza che non viene dalla televisione non viene da internet, dai libri che non hanno letto. È una saggezza che viene da una sapienza antica, la sapienza degli anziani di 100 anni fa. È una saggezza che viene dal buon senso che a volte sta anche nel sapere che la vita va come deve andare e che non si può fare niente per cambiarla. Rappresenta i siciliani saggi, i siciliani sapienti.

Sei perfettamente consapevole che Makari attraverso i tuoi scritti e adesso anche attraverso la serie televisiva è il posto che molti vorrebbero visitare, dove molti italiani vorrebbero trascorrere le proprie vacanze. Prevedi un investimento immobiliare in quella zona?

Io ho già la mia residenza a Racalmuto, la mia campagna, dove sto benissimo. A Makari uno sta tre giorni in albergo, si affitta una casa e basta. Io penso che ognuno di noi ha un luogo dell’anima, che può essere la campagna, una passeggiata al mare, un posto dove torni ogni tanto per ritrovare delle cose. Questi luoghi dell’anima non vanno sfruttati, vanno tenuti un po’ anche nel loro incantesimo. È come quando uno va alla Valle dei Templi, ci va una volta, ci sta benissimo, ma non ti compreresti mai una casa lì, a parte che non si può comprare. Ecco, Makari so che esiste e che ogni tanto ci posso tornare.

E cosa mi dici della passata di pomodoro? Io la ricordo come uno dei miei peggiori incubi da bambina: il caldo, le mosche, l’effetto orticante dei pomodori. Giornate di fuoco, assolutamente da cancellare. Tu hai un bel ricordo di queste scene familiari?

Allora, caldo perché ci doveva essere caldo, se no non si poteva fare. Ci doveva essere perché si dovevano asciugare le bottiglie, si dovevano asciugare i pomodori, non ci doveva essere umidità. Quando c’è stata la fiction qualcuno ha detto che questa è la solita immagine stereotipata dei siciliani. Però solo chi non è siciliano non può pensare che in Sicilia ancora non si fa l’astratto non si fa il pomodoro. Poi magari ci sono anche delle famiglie che non ne fanno più. Ma siccome ho memoria di che cosa era ..

Cosa era?

Era una sorta di tour de force e uno doveva scappare per non farsi acchiappare. Da bambino per esempio trovavo tutte le scuse, perché tutti erano utili: bambini, vecchi, grandi. E naturalmente la cosa che mi faceva diventare pazzo era: non ne possiamo fare 50? No, ne dovevamo fare in quantità enorme come la Cirio. Ogni famiglia ne produceva una quantità superiore al consumo. Questa comunque è una cosa nostra siciliana, come quando portiamo i dolci, per quattro persone venti dolci. Ci deve essere abbondanza perché nell’abbondanza c’è anche l’affetto, c’è anche un bisogno di riscatto dalla povertà che abbiamo vissuto, perché alla fine noi facciamo cose abbondanti perché abbiamo dentro di noi memoria di quando siamo stati poveri come paese, come regione.

In “Non c’è più la Sicilia di una Volta” affermavi, provocatoriamente, non ne posso più di Verga, Pirandello, Tomasi di Lampedusa e Sciascia. La Sicilia è cambiata molto. Moda, cucina, cinema, musica, letteratura hanno cambiato l’immagine dell’isola. Ma qualcosa da salvare di quella Sicilia ci sarà pure?

Quella ovviamente è una provocazione perché stiamo parlando di autori di libri, di opere letterarie, di capolavori della Sicilia per l’Europa. Se togli dagli scaffali di ogni italiano i libri scritti in Sicilia sulla Sicilia, come Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Sciascia, cosa rimane? Rimane tanto, ma quel tanto è poco. Poi, detto questo, io della Sicilia vorrei fare capire che noi quando vediamo una cosa che funziona diciamo: “Non sembriamo neanche in Sicilia” quando invece c’è una cosa che non funziona diciamo: “La solita Sicilia”. Nella realtà è Sicilia quello che funziona ed è Sicilia anche quello che non funziona. Il nostro tentativo di cittadini, ognuno per la sua parte, è quello di far crescere quello che c’è in Sicilia che funziona. Però non possiamo dire che quando funziona non è Sicilia e quando non funziona è Sicilia. Io contesto questo. Il problema è che ancora sono molte le cose che non funzionano rispetto a quelle che funzionano. Quindi ci siamo convinti, visto che sono molte di più le cose che non funzionano, che complessivamente la Sicilia non funziona. Se piano piano, col tempo, fossero di più le cose che funzionassero, potremmo dire piuttosto che “Paremu in Svizzera” – “Paremu in Sicilia”.

Qualcuno ha scritto che la Tv negli ultimi anni ci ha proposto un “sud delle fiction stereotipato, antimoderno, senza storia”. Che ne pensi?

Lo hanno detto anche di questa fiction, lo hanno detto anche dei miei racconti. Io penso che il sud e la Sicilia in particolare, ma il sud in genere siano carichi di luoghi comuni. Questo lo sappiamo benissimo. Luoghi comuni dovuti anche al cinema, alla televisione, alla letteratura, al giornalismo. Non è che se io faccio una Sicilia sotto la pioggia, se faccio una Sicilia dove piove sempre ho inventato chissà che cosa. Se io dico ai miei amici che c’è freddo in Sicilia, mi dicono: “Ma come c’è freddo? Non può essere?” Certo che c’è freddo. Volete fare un inverno a Racalmuto? A Racalmuto d’Inverno sembra di stare a Dublino, in Irlanda, con la nebbia. Noi veniamo anche dalla Sicilia meno stereotipata perché sappiamo anche che cos’è la neve, conosciamo il freddo proprio quello cane, giusto. Allora se io descrivo il sole è un luogo comune, mentre se invece c’è la neve o c’è la pioggia è un’invenzione geniale. È Sicilia con la neve ed è Sicilia senza neve. Uno di Enna per esempio sa che cos’è la Sicilia con la neve e ha una Sicilia diversa rispetto a uno di Agrigento. Quindi noi che siamo sovraccarichi di questi luoghi comuni li dobbiamo attraversare, smontare, guardare con occhio critico. È quello che io ho tentato di fare.  Quindi noi lo attraversiamo, ci passiamo in mezzo e vediamo quanto è luogo comune e quanto non lo è.  Poi naturalmente la fiction ha un suo linguaggio semplificato, deve parlare a tutti e quindi fa leva su alcuni aspetti che possono sembrare luoghi comuni. L’importante è, che è quello che mi pare di cogliere nella fiction, che quando sono presentate delle cose che sembrano dei luoghi comuni, c’è la consapevolezza che lo sono e c’è un personaggio che è La Manna che tenta di mettere in discussione questa cosa. I luoghi comuni, così, possono essere guardati con occhio critico o affettuoso o critico e affettuoso allo stesso tempo.

Davide Centamore (Piccionello) in una scena di Màkari, in onda su Rai 1

Suleima e Lamanna che fine faranno?

E adesso lì, guarda è un problema. Sono in un momento in cui dico: li faccio sposare?

Però se si sposano tu lo sai come va a finire, no?

Ca si lassanu!

Sì!

Bisogna tenerli innamorati e vicini. Con la stessa dinamica che tutte le persone innamorate vivono, dove si litiga, ci si lascia, ci si riprende, come è normale tra le persone che si amano. Devono vivere l’amore come un mare in tempesta. E la loro relazione deve essere un po’ tempestosa, se no non è amore.

Ma ti aspettavi un successo tanto grande?

No, sono rimasto molto stupito. Naturalmente sapevo che c’erano dei bravi attori, pensavo che potesse andare bene. È andato al di là veramente di ogni aspettativa, la più ottimistica.

Ti stanno pressando, ovviamente, per scrivere, no?

Sì, ma io ho un sacco di cose già scritte, quindi se vogliono farne un’altra serie il materiale c’è. Spero, però, di non passare ad inseguire i tempi della fiction, perché vorrei continuare a scrivere con i miei tempi. Io sono uno lagnuso a scrivere. Non sono velocissimo. Intanto la roba c’è già pubblicata. Di farina ne ho macinata. Se vogliamo fare pane, facciamo pane.

Va bene Gaetà, ti aspettiamo il prossimo Natale, tu sai per cosa.

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