Giuseppe Alaimo, la sua scomparsa, avvenuta il 17 gennaio del 2018, è ancora avvolta nel mistero. Era un uomo mite e silenzioso
Tutti hanno cominciato ad accorgersi di lui da quando non era più al suo posto. Come se da desaparecido avesse acquistato la sua completa sostanza di uomo e di cittadino: non ci sei, dunque esisti. Il caso di Giuseppe Alaimo, il pensionato di Racalmuto scomparso il 17 gennaio del 2018 senza un apparente perché, davvero è uno di quegli episodi che scuotono una comunità nel profondo, la impauriscono, le impongono qualche interrogativo inquietante. In un paese come il nostro, qualcuno può sparire così?, senza neanche una traccia nonostante settimane e settimane di ricerche? Forestali, polizia, carabinieri, unità cinofile, amici, parenti: tutti impegnati a battere palmo a palmo campagne e anfratti. Un vuoto girare attorno a una sola domanda: dov’è? Può una persona svanire da un’ora all’altra lasciando famiglia e amici nell’angoscia e gli altri concittadini nello sgomento?
Mite e silenzioso, Giuseppe, non dava fastidio a nessuno. Io me lo ricordo da giovane: biondo, capelli lunghi, baffi, sguardo ironico, bicipiti in mostra, una certa aria birichina, simpatica, un vagare ondeggiante. Chissà perché, ma io quando lo vedevo pensavo a un personaggio uscito da un fumetto, chissà come piovuto in questo lembo di mondo. Anno dopo anno, però, la sua esistenza divenne solitaria e malinconica. Ma senza eccessi.
Sarebbe troppo fantasioso pensare che lui, seppur in germe, confusamente e indistintamente, avesse avvertito il dolore della sua condizione che, al di fuori della famiglia, perdeva peso e diventava trasparenza, evanescenza, invisibilità rispetto al mondo? E se, dunque per questo, avesse elaborato un programma in cui il riscatto, il suo riscatto, dovesse passare appunto dalla sua eclissi, dalla sua sparizione? Una suggestione, evidentemente, ma che serve a mantenere accesa una fiaccola di speranza. Serve a tenerlo in vita e a non fermare le ricerche e le indagini benché – ci rendiamo conto – troppo tempo è passato senza riscontri, almeno da quello che ufficialmente si sa.
Giuseppe stava seduto in una panchina del Bastione, in via Generale Macaluso. Una presenza fissa, costante, un pezzo di panorama si può dire, un elemento del paesaggio. Proprio per la sua essenza solitaria e tranquilla si fa fatica a pensare che qualcuno possa avergli fatto del male. Ma il male è di questo mondo e non possiamo non pensare che potrebbe averlo incrociato. Anche se sarebbe bello che una mattina di primavera lui riapparisse e si facesse trovare seduto al sole, come se nulla fosse, sempre al Bastione, come tornato da una vacanza. Ci sentiremmo tutti più leggeri.