Fondato a Racalmuto nel 1980

Quelle indimenticabili serenate a Racalmuto con Luigi Infantino

100 anni fa, era il 24 aprile del 1921, nasceva Luigi Infantino, il “Tenore della grazia”. Ecco come lo ricorda il Maestro Calogero Messina, suo amico d’infanzia.  

Il Tenore Luigi Infantino

“Sì, mi ricordo. Io mi ricordo di Luigi Infantino, di Salvatore Puma, di Leonardo Sciascia”. Tutti nati cento anni fa a Racalmuto, come lui, Calogero Messina, che a dicembre spegnerà cento candeline. E nel giorno in cui si ricorda Luigi Infantino, il grande tenore, Calogero Messina, suo amico d’infanzia, compagno di momenti indimenticabili, lo ricorda con affetto e commozione.

Una vita dedicata alla musica. Una giovinezza trascorsa tra note e pentagrammi, strumenti musicali, opere e serenate al chiaro di luna, come si facevano una volta. E per ricordare Infantino, nato il 24 aprile del 1921, non potevamo non andare a riascoltare una nostra intervista al Maestro Lillo Messina, per tanti anni direttore della banda comunale di Racalmuto, memoria di un passato da sfogliare come un prezioso album di paese, protagonista di un secolo di vita racalmutese, dalla crisi mondiale del ’29 alla pandemia che stiamo vivendo.

Sappiamo di Infantino, della sua importante carriera iniziata alla fine degli anni Trenta a La Spezia e poi a Parma col primo debutto al teatro Regio interpretando Rodolfo nella Bohème. Sappiamo dei successi al San Carlo di Napoli, negli anni Quaranta, a Londra, al Coven Garden col Duca di Mantova. E sappiamo pure del debutto felice alla Scala di Milano, in occasione della riapertura ufficiale dopo la guerra. E poi Parigi, ancora Londra, New York, Helsinki, Venezia, accanto a Maria Callas nella Lucia di Lammermoor, e tanti altre grandi città d’Europa e del mondo.
Sappiamo dei tanti incontri di Infantino con i grandi della terra, dalla regina Elisabetta a Stallio e Ollio, divenuti nel 1952 suoi amici.

Ma sappiamo poco com’era questo “ragazzo dalla voce d’oro” che stupiva tutti in paese con la sua voce che poi fu tanto apprezzata anche da Luciano Pavarotti che lo definì, poco dopo la sua morte avvenuta il 22 giugno del 1991, giusto trent’anni fa, il “tenore della grazia”. Sappiamo poco di quegli anni quando il giovanissimo Infantino cantava persino dentro le gallerie dello zolfo per alleviare la fatica dei minatori.
Lillo Messina lo sa. Lo ricordava in quell’intervista che gli ho fatto poco tempo fa. Tutto inizia grazie alla musica, naturalmente.

Giovani bandisti negli anni ’30. Da sinistra: Calogero Messina,Luigi Infantino e Luigi Scimè

“Ho iniziato a studiarla prima ancora delle elementari. Al piano superiore della casa dove abitava la mia famiglia, questa stessa casa dove ancora vivo con mia moglie, abitava una maestra di musica, Mariannina Guglielmi, che accompagnava con il suono del pianoforte le pellicole al cine-teatro”.

Una parentesi su Donna Mariannina Guglielmi per chi non ha mai sentito il suo nome (e si dovrebbe parlare anche di loro a scuola, nelle istituzioni, di questi personaggi scomparsi dalla memoria collettiva del paese): commentava con le note la trama dei film che venivano proiettati al Regina Margherita con musiche di Chopin, Beethoven o con i valzer di Strauss. Quel pianoforte è conservato a casa degli eredi di una sua ex allieva. Mentre al teatro dovrebbe esserci ancora in un angolo, un po’ malandato, da recuperare come oggetto prezioso di quel tempo, il pianoforte utilizzato da Anna Pitrozzella quando accompagnava lo stesso Infantino durante le sue esibizioni al “Regina Margherita”.

Lui, il piccolo Lillo Messina, ha avuto il privilegio di crescere accanto a questa donna colta e stravagante: “Mi ha spronato lei e per cinque anni ho studiato violino. A sette anni, nel 1929, ho fatto il mio primo concerto al teatro Regina Margherita con lei che mi accompagnava al pianoforte. Ma col violino ho chiuso a dodici anni. Nel frattempo ero entrato a far parte della banda comunale diretta dal maestro Pietro Martorana. Ho cominciato a conoscere tutti gli strumenti. Per il periodo la banda di Racalmuto era una delle migliori della Sicilia”.

Il palcoscenico del teatro di Racalmuto era diventato, per il piccolo Lillo Messina, una sorta di seconda casa. In quel periodo anche la scuola diede un grande contributo alla formazione dei ragazzi: “Avevamo una grande voglia di studiare – mi diceva – ci furono insegnanti, come Nicolò Farrauto e Pierina Taibi, che organizzavano iniziative proprio in teatro. Si facevano le Operette. Nel 1932 ci fu la rappresentazione del Piccolo Balilla che ho interpretato. Avevo avuto anche una parte in Cenerentola. Avevo una bella voce, sai. Ci divertivamo tanto con Luigi”.
Ecco, Luigi Infantino.

Il Maestro Calogero Messina

“La grande crisi del ‘29 si sentì anche a Racalmuto e continuò fino al dopoguerra e la fame era nera – ricorda Messina -. Si mangiavano fave cotte a colazione, pranzo e cena. Luigi veniva quasi sempre a casa mia dove un pezzo di pane non mancava. Era un tipo estroverso. Nella banda suonava il tamburo. Non amava tanto studiare, la sua fortuna cominciò quando iniziò a suonare il flauto. Una bella voce l’aveva pure Salvatore Puma, ma gli mancava il movimento, la scena. Lui, rispetto a me e a Luigi, stava sempre in campagna ad aiutare il padre. Ma cantavamo tutti nel coro di Padre Rosina, un prete che non aveva una parrocchia. Solo il mese di maggio seguiva i ragazzi del coro. Facevamo a gara per fare i solisti. Con il maestro Martorana si girava spesso i paesi della Sicilia. Una volta, a San Giovanni Gemini, dopo una serie di esibizioni, Infantino perse la voce”. E ancora: “Il pubblico voleva a tutti i costi risentire quel ragazzo di 13 anni. Inventammo il play black: io cantavo e Luigi faceva la mimica. Poi Luigi se ne andò militare in Marina e grazie al fatto che suonava il flauto si fece conoscere. Negli anni ’40, durante la Repubblica di Salò, arrivò la sua fortuna. Tutti i grandi tenori si trovavano in quella parte dell’Italia e lui a Napoli fu chiamato al San Carlo. Fece sessanta repliche del Rigoletto. Da allora non si è più fermato. E non mi sono fermato neanche io. Nel senso che dal 1941 ho iniziato a lavorare per le Poste fino a diventare direttore d’ufficio dai primi anni ’60, a Camastra e poi in altri paesi. Ho abbandonato completamente la musica – anche se negli anni Cinquanta partecipavo anch’io alla rappresentazione del Mortorio, sempre nel nostro teatro – ma non ho mai dimenticato le serenate che facevamo in paese, da ragazzi. Scrivevamo noi le canzoni. Eravamo un’allegra brigata composta da me e Luigi, Baldassarre Romano, Giuseppe Capitano, Puma, Luigi Scimè e altri. Anni davvero unici e straordinari. La nostra musica piaceva così tanto che mai arrivò, dai padri delle fanciulle, il temuto secchio d’acqua sporca dalla finestra”.

Serenate e canti popolari che il tenore Luigi Infantino non dimenticò mai e che raccolse, nel 1975, in Sicilia amara e duci chiedendo al vecchio amico e compagno di classe Leonardo Sciascia – sì, Infantino, Puma e Sciascia hanno frequentato la stessa classe alle elementari con quel maestro severo e rigido che gli parlava di Napoleone, Calogero Vinci – di scrivere la presentazione. “I canti che Infantino ha trascritto e rielaborato – scrisse Sciascia – sono quasi tutti parte di quegli anni della nostra vita… E credo che lo stesso sentimento, di nostalgia e (nel senso più proprio) di pietà, che io provo nel risentire questi canti, abbia portato Infantino a ricrearli: senza preoccupazione e rigore filologico, ma nell’impeto del ricordo e del compianto dei vivi e dei morti, dei luoghi, delle feste, delle stagioni, delle ore”.

“Già, non ci sono più le serenate a Saruzza – sembra rispondere oggi Lillo Messina, ricordando la Serenata scritta dall’amico tenore – come non ci sono più tante cose, anche se apparentemente sembra che abbiamo tutto. E non ci sono più le persone a me care, gli amici di un tempo come Salvatore Puma e Luigi Infantino”.

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