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Non si può fare nemmeno un occhio a una pupa

DETTI E CONTRADDETTI. La frase siciliana che esprime la difficoltà a realizzare perfino le cose più semplici, torna attuale nella accesa polemica sul destino del Kouros di Lentini. Di Gaetano Savatteri

Gaetano Savatteri

Non si può fare un occhio a una pupa. Perfino la cosa più semplice, come dipingere due punti sulla faccia di una bambola, rischia di diventare impossibile: l’inchiostro scola, il pennello sbava, la mano trema. Non si può fare un occhio a una pupa, si dice, perché il pessimismo siciliano tiene conto degli imprevisti che corrono anche per i fatti più banali e scontati.

Se non si può fare nemmeno un occhio a una pupa, si potrà allora mai fare un pupo? Un pupo tutto intero. Il maestro Mimmo Cuticchio che è puparo da generazioni potrebbe spiegare quanto sia sapiente e difficile costruire un pupo, che sia Orlando o Gano di Magonza. Ma è il puparo che fa il pupo, e non viceversa.

Fuori da questa metafora, c’è la storia di un pupo e di un puparo straordinari. Il pupo è il Kouros di Lentini, una statua greca di marmo che per volontà di un puparo di grande esperienza e sensibilità – il compianto Sebastiano Tusa, assessore regionale fino alla tragica scomparsa nel marzo 2019 nel disastro aereo in Etiopia – è stato ricomposta e presentata al pubblico.

Studi, esami sulla pietra, rilevanze storiche avevano convinto Tusa, su suggerimento di Vittorio Sgarbi, a rimettere assieme due parti di un’unica statua. Una testa di ragazzo rinvenuta a Lentini nel Settecento da Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, appartenente al museo catanese di Castello Ursino e un torso di efebo acquisito nel 1904 dal grande archeologo Paolo Orsi per il museo di Siracusa. Secondo le indagini, le due parti provengono da un’unica cava di marmo e sono state ritrovate nello stesso luogo. Ecco perché Tusa, prima da esperto e poi da assessore, sollecitò il ricongiungimento per fare di due importanti reperti un solo pupo

Un bellissimo pupo, bisogna dire. Al punto che Tusa disse che la ricomposizione rappresentava una specie di nuovo ritrovamento. E infatti il pupo – pardon, la statua – è stato chiamato “il Kouros ritrovato”. Con grande diplomazia, si decise che la statua sarebbe stata esposta per un anno a Catania e nell’anno successivo a Siracusa e a rotazione, in modo da non urtare le suscettibilità delle due città che custodivano le parti separate. In questo momento, il Kouros è a Siracusa.

Ma non si può fare un occhio a una pupa, appunto. Perché improvvisamente è scoppiata la protesta. Accademici, studiosi, esperti criticano il pupo di Tusa. Sostengono che il ricongiungimento è arbitrario, mettono in dubbio le indagini petrografiche e geochimiche, ripropongono dubbi che da oltre cent’anni attraversano la comunità scientifica, lo definiscono un Frankestein archeologico.

I pianti e gli omaggi seguiti alla morte di Sebastiano Tusa sono stati presto dimenticati. E dietro molti dubbi si intravede un po’ di vecchio  campanilismo: noi a Catania avevamo una testa, voi a Siracusa avevate un busto. Stacchiamole e ciascuno si riprenda la sua parte. Che poi un ragazzo intero valga, anche esteticamente e turisticamente, più due pezzi di ragazzo poco conta. A ciascuno il suo.

Le due città a meno di settanta chilometri di distanza si contendono il Kouros. Nel frattempo, anche Lentini – a metà strada fra Catania e Siracusa – chiede che venga esposto per qualche periodo nel suo museo. Forse questa è la soluzione: in fondo, i due pezzi, sono stati trovati proprio a Lentini, è giusto che vi tornino. Il ragazzo torni lì, e il museo lo esponga un mese smontato e un altro mese rimontato. Così ciascuno potrà vedere quant’è difficile fare gli occhi a un Kouros.

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