Fondato a Racalmuto nel 1980

Non dimenticò mai nelle sue pagine la Sicilia e la sua Favara

Antonio Russello, il prolifico ma meno noto autore di tanti romanzi scritti. A  vent’anni dalla morte, vale la pena di leggere o rileggere i suoi testi.

26 maggio 2021. Favara Ricorda Antonio Russello a venti anni dalla scomparsa

La storia della letteratura può rivelarsi anche una storia di ombre, talvolta. L’ombra dei giganti che finiscono per oscurare in parte altri scrittori, a torto definiti “minori”. Come succede sotto i pini, prolifici di aghi che impediscono a tante piante di crescere floride. Non paia un azzardo la metafora botanica per evocare quanto è accaduto, con Pirandello, a Piermaria Rosso di San Secondo e, con Sciascia, ad Antonio Russello, il prolifico ma meno noto autore di tanti romanzi scritti in Veneto dove emigrò e dove morì senza mai dimenticare nelle sue pagine la Sicilia e il suo paese di origine, Favara, che ieri i ne ha ricordato i venti anni dalla morte.

Uno dei libri che con le Parrocchie di Regalpetra Il giorno della civetta segnò la popolarità di Leonardo Sciascia fu A ciascuno il suo. Lo stimolo per scrivere questo giallo pubblicato nel 1966 scatta quando ad Agrigento, nel marzo 1960, viene ucciso un funzionario di polizia impegnato sul fronte della mafia, il commissario Tandoj, mentre passeggia con la moglie, Leila Motta. Un agguato subito ammantato dalla pruderie di una prima ricostruzione che finiva per privilegiare la pista passionale. L’assassino spara in pieno giorno, in centro. I proiettili sfiorano la moglie. Il commissario rimane fulminato sul marciapiede, accanto al corpo senza vita di un passante, un giovane studente di Porto Empedocle, Antonino Damanti. Un ragazzo che aveva appena cominciato a collaborare con il giornale L’Ora.

Vengono arrestati la moglie di Tandoj e un notissimo psichiatra, il professore Mario La Loggia, suo presunto amante. Sarebbero stati presto scarcerati per assoluta mancanza di indizi, ma bastarono i titoli dei giornali e l’eco nazionale per deviare l’attenzione su una storia di corna, quasi a conferma che nella Sicilia sempre questione di femmine è. O meglio, era. Tandoj è un investigatore temibile. E’ lui che ha indagato sul delitto di Accursio Miraglia, il sindacalista ucciso nel 1947 a Sciacca. Il commissario ha fatto arrestare sei mafiosi prosciolti in istruttoria, pronti a loro volta a denunciarlo. Nel 1951 segue le indagini sul delitto di Eraclide Giglio, un democristiano sindaco e boss mafioso di Alessandria della Rocca, ucciso dopo un summit tenuto nella parrocchia di Aragona. Due anni dopo sfiora due parlamentari, Luigi Giglia e Gaetano Di Leo, individuati a bordo della stessa auto, bloccata da un commando per eliminare a colpi di lupara il terzo passeggero, Vito Montaperto, segretario provinciale della Dc, ma coinvolto nei traffici della banda Sferrazza. Poco tempo prima, irrequieto, Montaperto era considerato ad un tratto infido perché gli avevano sentito sussurrare uno sfogo: “Vado a Roma e denuncio tutto a Aldo Moro”.

Antonio Russello

Dettaglio rimasto una nebulosa irrisolta per il commissario Tandoj davanti a quel cadavere e a quei testimoni. Deciso ad approfondire la sua inchiesta sugli angoli bui del potere locale. A partire dalla Dc in cui si muoveva il fratello del presunto amante della moglie del commissario, essendo lo psichiatra Mario La Loggia fratello di Giuseppe, in quegli anni presidente della Regione, ma entrambi estranei al caso. Era però quella rete di rapporti che collegavano mafiosi e centri di potere politico ad avere decretato l’assassinio del commissario. E quella rete finiva per indicare Sciascia con il suo giallo politico.

Ma prima ancora il caso Tandoj era già diventato materia letteraria. Con un libro di Antonio Russello, il conterraneo di Sciascia che viveva lì a due passi da Favara, a Racalmuto. Forse, a sua volta, stupito Sciascia dalla considerazione che subito di Russello ebbe Elio Vittorini. Era stato l’autore di Conversazione in Sicilia  a scoprirlo nel 1960 attraverso l’opera La luna si mangia i morti, apprezzata addirittura più del Gattopardo. Premiando Russello, addirittura rifiutando Tomasi di Lampedusa.

Tre anni dopo il primo libro, quindi ben prima di Sciascia, Russello trasforma il delitto di quel commissario in un romanzo dal titolo La grande sete, pubblicato da un piccolo editore veneto, Santi Quaranta.

È il commissario Righi arrivato in Sicilia da Mantova il protagonista di Russello. Un commissario ucciso accanto alla moglie, Maria Gloria, come era accaduto a Tandoj con Leila Motta. Anche in questo caso con una relazione fra la signora Gloria e Don Mimì che ovviamente richiama il profilo bon vivant di Mario La Loggia.

Un intrigo politico mafioso che non diventa successo editoriale. A differenza del trionfo che otterrà il romanzo di Sciascia destinato ad oscurare quello di Russello, senza più guadagnare spazio adeguato in libreria, nonostante il viatico di Vittorini. Evitando inopportuni confronti diciamo soltanto che, a  vent’anni dalla morte, vale la pena di leggere o rileggere i testi di Russello. Come suggerisce l’encomiabile iniziativa della piccola grande casa editrice di Favara, la Medinova di Antonio Liotta. Come la Strada degli Scrittori da tempo invita a fare, provando a fare rivivere le piante che possono colorare il giardino della letteratura anche sotto i grandi pini.

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