Fondato a Racalmuto nel 1980

Leonardo Sciascia e le errate interpretazioni del suo pensiero

Letture. “Ce ne ricorderemo di questo pianeta. Appunti e notazioni sparse su Leonardo Sciascia”, di Alessandro Pagano. Le considerazioni di Gigi Restivo

Gigi Restivo

Sono decine le pubblicazioni edite quest’anno in occasione del centenario della nascita di Leonardo Sciascia e centinaia sono i volumi a lui dedicati a partire dagli anni ‘70 in poi: scrittore ed intellettuale scomodo e controcorrente attirava su di sé lodi e critiche feroci. Ma per quanto tenti di forzare la mia memoria controllando e ricontrollando gli scaffali della libreria non riesco ad individuare un libro, una raccolta di saggi, un articolo a lui dedicati che contengano una quantità tale di errate interpretazioni del suo pensiero e dei suoi stessi scritti, e dei tragici fatti di cronaca di cui lo scrittore di Racalmuto si occupò, come quelli contenuti nel libro a firma di Alessandro Pagano “Ce ne ricorderemo di questo pianeta”, edito dalla Fondazione culturale Thule di Palermo (luglio 2021) e presentato alla Fondazione Sciascia a Racalmuto lo scorso 7 agosto.

Un libro peraltro ambizioso in cui si ritiene, da parte degli autori, di aver offerto “una lettura nuova, talvolta inedita, coraggiosa di Leonardo Sciascia”. Per quanto il libro, appena 47 pagine, in copertina sia attribuito ad Alessandro Pagano, attualmente deputato della Lega di Salvini alla Camera, quest’ultimo ne firma appena 11: 2 pagine contengono il suo omaggio reso a Sciascia nell’aula della Camera dei deputati lo scorso 13 gennaio 2021 ed altre 9 un suo intervento ad un convegno tenutosi a Caltanissetta nel 2009 a vent’anni dalla morte dello scrittore. Il testo più lungo (16 pagine) è di Alberto Maira, docente di materie letterarie a San Cataldo, paese d’origine dello stesso Pagano. Suggestivo il titolo: “Leonardo Sciascia, ma quello non noto”.

Per giustificare cotanto titolo Maira, solo nel 2021, scrive di aver scoperto due “volti inediti per me e per molti” dello scrittore, utilizzando peraltro buona parte delle pagine a sua disposizione per riportare una prefazione (Garibaldi e il padre Buttà) scritta proprio da Sciascia per introdurre la ristampa di un romanzo storico, “Viaggio da Boccadifalco a Gaeta” di don Giuseppe Buttà, cappellano al seguito delle truppe borboniche durante lo sbarco di Garibaldi in Sicilia e pubblicata come saggio nella seconda metà degli anni ‘80 nell’edizione francese del libro Cronachette. Maira, inoltre, utilizzando uno scritto dell’on. Agostino Spataro, aggiunge pure una sua personale ricostruzione delle ragioni che allontanarono Sciascia dal PCI collocandole nel 1980, anno in cui, a seguito di alcune dichiarazioni nella Commissione d’inchiesta sull’uccisione di Aldo Moro, lo scrittore fu querelato dal segretario del PCI Berlinguer. Peccato per Maira che già alla fine del 1976 Sciascia aveva lasciato il Consiglio comunale di Palermo, cui era stato eletto proprio nelle file del PCI e nel 1977 aveva scritto Candido, un libro liberatorio che segnava il definitivo distacco da quel partito.

Quanto ai volti inediti – certamente per lui e non per molti – relativi alla critica nei confronti della storiografia post unitaria e ad una sua presunta e indimostrata predilezione per la messa in latino tratta da un passo di Todo modo e addirittura alla conversione cristiana di Sciascia, chissà se il prof. Maira ha mai letto i saggi Verga e il Risorgimento o I fatti di Bronte contenuti in Pirandello e la Sicilia, pubblicato nel lontano 1961; o il racconto Il quarantotto contenuto ne Gli zii di Sicilia, pubblicato nel 1958. Avrebbe scoperto prima la passione dello scrittore di Racalmuto per la verità storica. O ancora si sia reso conto dell’effettivo significato per Sciascia di Todo modo, il grottesco ritratto di una casta che per troppa ingordigia sarebbe andata incontro all’autodistruzione in nome del cristianesimo, “ … una ideologia del pauperismo abbastanza confusa, abbastanza contraddittoria. Tanto confusa – prosegue lo scrittore -, tanto contraddittoria, che coloro che la professano, dimenticando la morte e la fine del mondo, ansiosamente tendono a fonderla in altra più precisa, più conseguente, più ‘scientifica’ ideologia …”. Altro che predilezione per la messa in latino o conversione.

Completano il libretto una presentazione del Vicesindaco di Racalmuto, Enzo Sardo, e dell’Assessore regionale ai Beni culturali Alberto Samonà, l’unico, a nostro avviso, a scrivere su Sciascia cose abbastanza condivisibili.

Pagano, oggi deputato della Lega, dopo un passato nella Dc, in Forza Italia e nel CD di Alfano, conclude il suo scritto esortando “a raccogliere l’eredità di Sciascia, in un momento in cui non tutti sono disponibili ad accettarne l’eredità”. L’impressione che se ne ricava suona come una sorta di invito ad arruolare il più disorganico degli scrittori ed intellettuali europei del ‘900 sotto le bandiere della Lega e del centrodestra. E spieghiamo il perché.

Per raggiungere tale velleitario obiettivo, sotto il titolo “Sciascia e l’ideologia” Pagano riscrive a suo modo gli anni del terrorismo e le posizioni di Sciascia sino al caso Moro; svilisce il rapporto dello scrittore con il PCI; utilizza pro domo sua, da buon siciliano della Sicilia interna, il suo impegno contro la mafia ed infine lo converte, anche lui come Maira, al cristianesimo.

Scopriamo così grazie a Pagano che per 10 anni, dal 1968 al 1978, in Italia “si stava consumando una vera e propria guerra civile” e non un attacco di forze terroristiche, di destra e di sinistra, alle istituzioni; che la politica del “compromesso storico” enunciata da Berlinguer nel 1973 in alcuni articoli pubblicati da Rinascita nel 1973 dopo i fatti del Cile diede luogo ad un vero e proprio governo Andreotti-Berlinguer; e che i terroristi, secondo Sciascia, “erano solo portatori di un’ideologia (il comunismo), basata sulla menzogna e sulla violenza”. E continuando sull’impegno politico di Sciascia afferma che lo stesso si avvicinò al PCI solo per contrapposizione perché, ritenendo il fascismo come espressione di violenza allo stato puro, “valuta positivamente le forze che vi si sono opposte”.

Chissà quali libri o quali interventi di Sciascia abbia letto l’On. Pagano per trarne questi convincimenti: “ … i miei rapporti con il PCI – dichiarava Sciascia a Marcelle Padovani nel libro intervista La Sicilia come metafora – sono stati assai complessi, quasi quanto quelli che intrattengo con la Sicilia. Di amore e odio, per semplificare …”.

Lo scrittore si avvicinò ai comunisti nella seconda metà degli anni ‘30 durante la frequenza a Caltanissetta dell’istituto Magistrale e continuò negli anni a venire a frequentarli ed apprezzarli; negli anni ‘60, e dunque scrittore ed intellettuale maturo, dichiarava in un’intervista che “Se pure non ero e non sono un militante comunista, sono certo da anni molto vicino al partito comunista con un colloquio talvolta critico ma sempre utile e positivo per me”.

Ad Enzo Biagi che, nel 1973 gli chiedeva dopo la pubblicazione del Contesto di tale rapporto Sciascia confermava  “ … non ho niente contro i comunisti, tranne il metodo con cui governano in certi Paesi, e alcuni sbagli che hanno fatto in Italia; sono per loro ma voglio conservare la mia libertà, e quella degli altri”.

E nel 1975, dopo aver condotto accanto al PCI la battaglia per il referendum sul divorzio, accettava di candidarsi come indipendente nelle liste del partito al Consiglio comunale di Palermo ed ancora l’anno successivo, in occasione delle elezioni parlamentari nazionali si schierava al suo fianco dichiarando che “… la parte migliore di questo paese, il popolo vero, reale, sta oggi a sinistra, con il PCI e con il PSI …” e che “ … il presidio delle libertà italiane sta nella forza del partito comunista”.

Tralasciamo per rispetto all’intelligenza di quanti leggeranno questa nota di riportare il pensiero e le opinioni di Sciascia sulla Democrazia cristiana sino al 1976 e successivamente sino alla sua scomparsa, partito nelle cui fila il giovane on. Pagano ha militato sino al transito in Forza Italia partito che proprio dalla DC ha ereditato uomini e metodi di governo. A Palermo ed a Roma.

Le politiche del compromesso storico – che non diedero luogo a nessun formale governo Andreotti-Berlinguer – e le diverse posizioni dello scrittore rispetto al partito sull’emergenza terrorismo e sul caso Moro furono certamente alla base del definitivo distacco dello scrittore dal PCI (già peraltro consacrato in Candido) ma tali posizioni, limpidamente spiegate più volte da Sciascia non ne fecero allora un conservatore, né tantomeno possono essere utilizzate dopo quarant’anni dall’on. Pagano per “raccogliere l’eredità di Sciascia, in un momento in cui non tutti sono disponibili ad accettarne l’eredità” Se dunque le sue considerazioni fossero solo il frutto di opinioni personali non ci saremmo scomodati più di tanto a leggere il libro ed a scrivere questa nota: ma tentare di farle passare come opinioni di Sciascia o addirittura come sue considerazioni o dichiarazioni appare veramente troppo.

E sulle posizioni di Sciascia sul terrorismo, sul compromesso storico e sul caso Moro, sulla sua vicinanza al PCI, per chi ne ha voglia basta leggere “Le parrocchie di Regalpetra”, Laterza, Bari, 1956; “L’affaire Moro”, Sellerio, Palermo, 1979; La Sicilia come metafora, Mondadori, Milano, 1979; “La palma va al nord”, Quaderni radicali, Roma, 1981. Magari qualcuno  potrà anche ritrovarvi le opinioni dell’On. Pagano.

Quanto infine all’impegno di Sciascia contro la mafia, l’On. Pagano, interpretando liberamente il pensiero dello scrittore ed i suoi interventi, non ultimo il famoso articolo sui “Professionisti dell’antimafia”, utilizza quegli scritti spingendosi sino a mettere accanto a Falcone, Borsellino, Chinnici, La Torre,  veri eroi siciliani, il Generale Mario Mori ed il Generale Luciano Garofalo. Ci chiediamo quali sono i meriti dei due Generali, tali da essere considerati eroi in nome di quanto Sciascia ha scritto sulla mafia e sull’antimafia.

Dulcis in fundo, per arruolare definitivamente Sciascia nelle file del centrodestra, Pagano ma anche Maira consacrano lo scrittore al Cristianesimo: “agnostico e forse ateo in vita, (e miracolosamente aggiungiamo noi) credente solo in punto di morte” per un crocifisso posto tra le sue mani dai suoi familiari e per i funerali religiosi a Racalmuto nella sua Chiesa, quella della Madonna del Monte come tradizione voleva.

Scrive Pagano che Sciascia “Comincia a scoprire il Trascendente: un percorso iniziato in verità già da tempo, ma che trova forza con il passare degli anni”. Ed ancora: “Sciascia parte illuminista, materialista e ateo e poi in modo graduale termina il suo cammino senza traumi, scoprendo Dio”.

Arbitrarie considerazioni, a nostro avviso,  finalizzate  a completare il reclutamento del Maestro di Regalpetra nelle sponde di una parte politica assolutamente distante dalla sua storia personale, dalle sue convinzioni, dalle sue opinioni.

A don Nino Nuzzo che sul pensiero e l’opera dello scrittore ha pubblicato diversi libri, chiacchierando sul dopo, Sciascia diceva che “non c’è alcuna certezza, e nemmeno la certezza che non ci siano certezze”.

“Ho una curiosità nei confronti della fine – confessò ad Enzo Biagi – anche morbosamente letteraria … voglio affrontare la morte come se fosse un’esperienza narrabile … sono pronto ad accoglierla serenamente e vedo in essa un’amica naturale. Sono uno che aspetta la morte senza ombra di apprensione, senza paura … Se vogliamo la prova di essere vissuti, dobbiamo morire”.

La conversione divina alla fine della sua vita dunque, qualcosa che lo scrittore avrebbe aborrito. Non c’è nulla da fare: “la morte è terribile non per il non esserci più ma, al contrario, per l’esserci ancora in balia dei mutevoli ricordi, dei mutevoli sentimenti, dei mutevoli pensieri di coloro che resta(va)no”.

“Sciascia – annotò nel registro dei morti il suo amico Don Alfonso Puma – è andato via “non munito dei Sacramenti” e del resto non poteva essere diversamente per un uomo che dichiarava di non essere ateo né credente ma che cercava di vivere “religiosamente”.

Concludendo il suo scritto, Pagano ci illumina affermando che Sciascia ci ha regalato un lascito, quello di coltivare la virtù del coraggio.

Dal momento che Sciascia invitava invece a coltivare la virtù del dubbio e non del coraggio noi riteniamo che forse sia meglio coltivare la virtù della conoscenza: leggere i libri dello scrittore; i suoi interventi sui giornali; le tante interviste rilasciate; gli interventi parlamentari. Il modo migliore per evitare errori o interpretare erroneamente il suo pensiero.

 

 

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