Fondato a Racalmuto nel 1980

Cortigiani risentiti e politici permalosi

La deriva sociale e politica, dal livello nazionale a quello locale

Massimo D’Antoni

Farò delle considerazioni impopolari. Ma se significa non seguire l’onda, francamente ne vado orgoglioso. La deriva sociale e politica, dal livello romano a quello locale, assume ogni giorno connotazioni sempre più tangibili e preoccupanti per la tenuta (ritengo) delle fondamenta stesse della democrazia. Lo rivela un dibattito nel quale tanti protagonisti (quelli che tradizionalmente corrispondono quasi sempre a chi non ha responsabilità di governo) si fanno più o meno abilmente interpreti del malcontento. Sarebbe legittimo se questo fosse solo uno degli ambiti d’azione. Tuttavia oggi questo fenomeno sembra essere assurto all’unico ambito d’azione possibile.

Una autentica sublimazione della politica barricadiera è manifestata da un leader politico (Matteo Salvini) che riesce ad interpretare contemporaneamente il soggetto e l’oggetto della protesta, calando la sua Lega nel ruolo di “partito di lotta e di governo”, all’inseguimento tattico della crescita del suo partner più importante nello schieramento, Fratelli d’Italia. Io non lo critico per questo. Anzi: se il politico deve interpretare il sentimento prevalente, stando almeno ai sondaggi, bisogna ammettere che Salvini riesce nell’intento. Poi si potrebbe opinare che in politica si dovrebbe costruire, ma è chiaro che chi si limita a distruggere riesce assai più facilmente ad eccitare gli animi e a permettere al cittadino vessato dalle difficoltà (a partire da quelle strettamente personali) di potersi in qualche modo sfogare. Nel segno dell’adagio che “chi ha problemi ne crea agli altri”.

Non si può non ribadire ancora una volta che i tempi sono cambiati, e che rispetto al passato, l’avvento della tribuna social (che, ce ne dimentichiamo spesso colpevolmente, annovera solo una minoranza di quello che in modo ridondante definiamo “il Paese reale”) cannibalizza il dibattito, con il politico di turno che arringa la folla, cavalcando i problemi, accusando chi pur avendo il potere non li risolve, galvanizzando l’insoddisfazione popolare e annettendola presso la propria fazione.

Succede anche a livello locale. Attenzione però: il fenomeno è pericoloso. Perché siamo nell’era della polemica “fast food”, che viene dimenticata poche ore dopo avere accumulato i like dei cortigiani e le emoticon sghignazzanti degli avversari. Che strano fenomeno le faccine che ridono su notizie talvolta perfino drammatiche.

Da tutto questo discende un fenomeno bizzarro. Quello di un dibattito politico nel quale se chi governa invoca comprensione per la difficoltà del ruolo che ricopre, chi è minoranza getta benzina sul fuoco delle polemiche e dell’insoddisfazione popolare. E quando le parti si invertono, il brogliaccio della messa in scena rimane lo stesso. Semplicemente gli attori cambiano posizione sul palco. Con la variabile (buona per tutte le stagioni) che chi vince le elezioni chiarisce al popolo in attesa della rivoluzione di non potere fare granché per migliorare le cose perché (figuriamoci) ha ricevuto la peggiore delle “eredità” politiche possibili da chi c’era prima.

Una spirale infinita, alimentata dall’odio social e dalle ricette vincenti che, tuttavia, sono vincenti solo se e quando non possono essere utilizzate. Quelle di chi governa (manco a dirlo) sono “ricette perdenti”. Ma, per dirla con il Leporello del Don Giovanni di Mozart, “il catalogo è questo”. E per restare nelle nostre umili contrade, dall’acqua pubblica alle buche per strada, dalle transenne alla tassa sui rifiuti, dalle Terme alle manifestazioni estive, il cittadino viene tirato per la giacca delle proprie ragioni. Che, il più delle volte, sono esclusivamente ragioni elettorali. Ce ne stiamo accorgendo in questi giorni. Nessuno che dia una mano, nessuno che proponga soluzioni reali. Spiace generalizzare, perché in effetti qualcuno che si sforza di operare in maniera opposta c’è, ma è anche vero che, purtroppo, viene regolarmente isolato all’interno del suo stesso schieramento.

Non bisogna scomodare Nostradamus per prevedere che, di questo passo, anche le prossime elezioni amministrative di Sciacca si giocheranno sull’atavico (inutile, ahimè) confronto tra “prima” e “dopo”. Dove la vera memoria alla fine interessa soltanto i protagonisti e il loro amor proprio. I fatti personali surclassano quelli politici, la propria immagine si rivela più importante del bene della comunità. Magari è un fenomeno involontario, ma è quello che si percepisce. E così, uno come me che guardava alla politica con il rispetto dell’arte del possibile (e del compromesso), si vede costretto ogni giorno a raccontare la deriva infinita del “tutti contro tutti”, con i rispettivi “gigli magici” a supportare le tesi dei propri capi.

In conclusione: so già che questo mio ragionamento verrà interpretato come una dissertazione che alla fine trascura l’oggettività dei problemi in essere. Non mi sottraggo. I problemi ci sono eccome. La nostra comunità sta attraversando una fase preoccupante, un abbassamento della qualità della vita a dir poco drammatico. Una fase nella quale però le responsabilità dei cittadini non vengono stigmatizzate a dovere da nessuno. E se lo fa qualche giornalista scatta il dalli all’untore (in era Covid la metafora si attaglia). Per dire: la città è sporca. Ma chi denuncia che la città è sporca, oltre ad invocare la pulizia dovrebbe anche criticare chi la città l’ha sporcata. Per dire ancora: non vedo politici additare con la determinazione necessaria i tanti evasori dei tributi, probabilmente perché è chiaro che poi a queste persone bisogna pur andare a chiedere il voto.

Provo a chiarire un concetto che non mi riesce di far passare: sogno un mondo in cui la gente finalmente capisca che i luoghi comuni vanno difesi come se fossero il salotto di casa, indipendentemente dalle telecamere; sogno una comunità che non parcheggi dove gli pare, indipendentemente dal fatto che mancano i parcheggi. Poi non trascuro che i servizi minimi essenziali non funzionano, e che è una vergogna che i cittadini (prima dei turisti) debbano muoversi tra erbacce, buche e lurdìe varie.

Le responsabilità politiche di chi amministra sono oggettive, ma i limiti di una macchina burocratica comunale già obsoleta si sono aggravati con lo svuotamento degli uffici, alimentato anche da provvedimenti discutibili (come la tanto decantata da Salvini “Quota Cento”). C’è una realtà assai complessa, che non può essere tagliata con l’accetta magari facendo il giro della città e fotografando le buche e le transenne. Oltretutto i protagonisti “siedono tutti in pizzo”: da un lato c’è l’assessore permaloso, dall’altro c’è l’ex consigliere che se l’è legata al dito. Così come se l’è legata al dito il presidente della Regione. Che, per i problemi che sta affrontando, aggravati dall’emergenza Covid, ha tutta la mia solidarietà. Tranne per il fatto che, dopo 4 anni, non può continuare a dare la colpa al precedente governo.

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