Viaggio nell’enologia della Trinacria.
Enocria. Un ipotetico neologismo che ben potrebbe rappresentare la sintesi di un ideale percorso intrapreso già da tempo dal settore enologico siciliano, quindi della Trinacria: enocria, appunto, ovvero l’enologia della Trinacria.
La Sicilia, sin dagli albori della sua storia, ha avuto un legame strettissimo con la coltura della vite e la cultura del vino. Gli studiosi sostengono che i vigneti crescessero spontaneamente e copiosamente nell’isola, grazie al suo particolare e congeniale clima, già molto tempo prima che i greci la colonizzassero: riscontri archeologici – preziose viti fossili ritrovate a Grotte, nell’agrigentino – hanno infatti dimostrato che il consumo di vino era già diffuso e presente sin dal XVII secolo a. C. Probabilmente, però, la vera arte della viticultura, intesa come connubio fra metodo e tecnica, fu introdotta nell’ottavo secolo a. C. dai primi coloni greci, i quali gettarono le fondamenta per quella che sarebbe in seguito diventata una vera specialità siciliana.
Nel corso degli ultimi due millenni, vini e vitigni siciliani hanno sempre dimostrato d’avere, tra alti e bassi, una notevole importanza. Già durante l’Impero Romano la produzione enologica siciliana era considerata tra le migliori al mondo, tanto che il Mamertino di Milazzo pare fosse il vino preferito da Giulio Cesare. Sviluppo e rilevante considerazione furono mantenuti durante il periodo bizantino (secoli VI-IX). Il declino ci fu invece tra il IX e l’XI secolo, durante la dominazione araba, ma la ripresa però cominciò a essere chiara già a partire dal XII secolo con l’avvento dei Normanni prima e degli Svevi (XIII secolo), Aragonesi (XIII-XVI secolo) e Borboni (XVI-XVIII secolo) poi.
Ma è alla fine dell’ottocento che si assiste a una vera e propria “seconda rinascenza” dell’enologia siciliana, grazie allo sviluppo del commercio internazionale del vino prodotto nell’isola (soprattutto con Francia e Inghilterra) determinato dalla nascita di storiche cantine che, ad oggi, sono ancora parte integrante della storia della cultura enologica mondiale. Furono infatti i Florio, i Rallo e i Pellegrino di Marsala a dare un tale slancio alla commercializzazione e alla diffusione dei nostri vini nel mondo, che l’apprezzato vino Marsala finì col sostituire il Porto come bevanda ufficiale dei marinai della Regia Marina inglese. A onor del vero, in quel periodo di floridi commerci per le storiche cantine siciliane, il vino dell’isola conservava ancora quella sua particolare caratteristica (il forte grado alcolico) che, pur limitandone le vendite per il consumo da tavola, al contempo lo rendeva fortemente voluto e apprezzato come vino cosiddetto “da taglio” per strutturare i vini italiani e francesi più famosi e celebri. Pochi infatti sono a conoscenza di un significativo episodio avvenuto nella seconda metà dell’ottocento in Francia, terra vinicola per eccellenza: un’epidemia di fillossera (temuta malattia dell’uva) di proporzioni mai viste fino ad allora, decimò i vigneti francesi tanto da causare una produzione vinicola minima, che però venne supportata in qualità e quantità dall’utilizzo di alcuni vini italiani, siciliani in particolare. E’ facile immaginare, quindi, cosa sarebbe successo alla produzione dei vari merlot, pinot e chardonnay di Francia di allora se non ci fosse stato l’apporto della struttura dei migliori vini siciliani.
Tutto ciò di cui si è scritto sino a ora appartiene però a un periodo sì glorioso ma ormai passato e superato. Il presentedell’enologia e della vitivinicoltura siciliane è costituito da un insieme di tecniche scientifiche, esperienze internazionali e apparati economici consistenti uniti a fantasia e passione tutte siciliane per l’arte del crear vino. Quello a cui oggi si assiste rappresenta una vera e propria “terza rinascenza” del vino siciliano. Mentre prima il più importante parametro di riferimento qualitativo era l’elevato grado alcolico, tratto tipico dell’antico nettare di Bacco siculo, adesso tale caratteristica è stata notevolmente ridimensionata. Anzi, l’attuale produzione vinicola dell’isola ha quasi perso la classica potenza alcolica, sostituita da una varietà di qualità sopraffine, adatte a tutti i tipi di palati, di gusti e di tasche.
L’applicazione di innesti scientificamente sperimentati e realizzati e la ricerca del migliore terroir – combinati a veri e propri tentativi (spesso magnificamente riusciti) d’avanguardia enologica – hanno prodotto negli ultimi anni veri gioielli di rara qualità. Sono state utilizzate tutte le varie tipologie di ambienti presenti nell’isola (dal mare all’alta montagna), di terreni (dai salini ai ferrosi) e di situazioni atmosferiche (da quelle iodate e marine a quelle rarefatte e nevose) per creare condizioni particolari (il terroir), a volte uniche, in cui vinificare i vitigni più diversi. Una caratteristica della produzione degli ultimi anni è rappresentata infatti dall’utilizzazione, accanto ai classici vitigni autoctoni siciliani come il nero d’Avola o l’inzolia, dei più importanti vitigni internazionali come lo chardonnay, il merlot fino al delicato pinot nero. Sono stati creati anche dei blend (miscele) tra gli stessi, inseriti nei disciplinari di produzione delle nostre più importanti DOC e DOCG (oltre alle numerose IGT), tanto che ormai si può tranquillamente parlare di una vera e propria “sicilianizzazione” di tali tipologie, che dalle nostre parti hanno rivelato qualità altrove sconosciute. Vitigni normalmente “abituati” a essere coltivati al freddo e all’umidità che da noi si sono così ben adattati da creare appassionanti casi seguiti e analizzati da eminenti enologi e studiosi. Ovviamente, però, le uve autoctone, ovvero originarie del luogo, non sono state affatto dimenticate. Sia le storiche cantine prima citate che, soprattutto, quelle sviluppatesi negli ultimi anni – Cusumano, Planeta, Calatrasi o Settesoli (quest’ultima proprietaria del più grande vigneto d’Europa), solo per citarne alcune – hanno curato produzioni di pregevole fattura e vitigni come il celeberrimo nero d’Avola, l’inzolia, il grecanico o il grillo hanno visto alzarsi esponenzialmente le loro quotazioni, sia in termini quantitativi che qualitativi. Per non parlare poi dell’“Uva Italia” di Canicattì, considerata la “regina dell’uva da tavola” e sempre più celebrata sia nel nostro paese che sulle tavole europee e americane. Ormai non si contano più i premi vinti dai vini dell’isola nei più importanti concorsi enologici italiani e internazionali, così come appare ovvia e del tutto scontata la presenza delle nostre etichette nelle “carte dei vini” dei più prestigiosi ristoranti o nelle più autorevoli guide di settore.
Un discorso a parte meritano le eccellenze enologiche che l’intero pianeta ci invidia. La Sicilia, a ragion veduta, è celebre per i suoi vini dolci e liquorosi. Termini come Marsala, malvasia, moscato o passito rievocano subito la nostra terra, i nostri luoghi, la nostra cultura e, per certi versi, contribuiscono a creare quello stato dell’animo e della mente che qualcuno definì sicilitudine. Il fortissimo legame che lega la Sicilia ai suoi vini si riscontra infatti anche nell’assoluta peculiarità di certe zone d’eccellenza. Vi sono etichette di Passito di Pantelleria o di Malvasia delle Lipari che rievocano sentori e profumi che nulla hanno da invidiare ai più blasonati Sauternes o Porto, anzi. E che dire della nuova rinascita della DOC Marsala, nelle sue più articolate varietà, dal dolce al secco, dall’ambra al rubino: sono talmente uniche che ogni assaggio è un’esperienza e ogni novità proposta una scoperta. Per non parlare poi dei territori messinesi della DOC Faro, da tempo considerati, per l’ottima qualità della loro produzione, la “Borgogna di Sicilia”, creando in tal modo un lusinghiero parallelismo con la zona di produzione enologica più celebre e importante al mondo.
Last but not least, un accenno va fatto agli ultimi due decenni di produzione enologica in Sicilia, caratterizzati da utilizzazioni inedite per le nostre tradizioni vitivinicole, come barriques di legno, vasche d’acciaio e anche giare di terracotta. Con tali strumenti vengono fatti affinare, maturare o invecchiare vini tra i più diversi: strutturati e possenti neri d’Avola coltivati sull’Etna piuttosto che sulle Madonie, profumati cabernet-sauvignon provenienti da colline vicine al mare, aromatiche inzolie o suadenti grecanici cresciuti su terreni sabbiosi o rocciosi. La Sicilia da questo punto di vista rappresenta un vero e proprio paradiso enologico: è una terra in cui persistono tutte le condizioni climatiche possibili e vi si può coltivare qualsiasi vitigno, dal pinot nero sulle pendici dell’Etna, al muller-thurgau nelle vallate dell’entroterra, dal frappato in terreni di montagna al petit verdot nei territori costieri. Sono infatti in molti a pensare che una tale concentrazione di terroir in un’unica grande isola come la nostra, qualifichi questa terra come unica al mondo, in grado di soddisfare le produzioni più diverse, le sperimentazioni più ardite e di fornirci vini dalle caratteristiche e dalle peculiarità esclusive.