Aragona, 27 settembre 2014. Il potere dell’uomo questa volta ha fallito e non è riuscito a scongiurare la tragedia.
Per chi, come me, ha avuto il privilegio di trascorrere la propria infanzia in una cittadina come Aragona, le scorribande pomeridiane in bici dopo la scuola rappresentavano una consuetudine. Ma non solo, a noi adolescenti degli anni 70/80 è stata concessa la possibilità di impiantare campi di calcio e di pallavolo a cielo aperto, giocare a nascondino nei vicoli dei quartieri, pescare rane negli stagni, sfidarci con i “carrozzoni” per le vie del paese.
Giochi di strada, giochi di un tempo, un tempo in cui nessuno si preoccupava del traffico o dell’obesità dei bambini. È ovvio che anche per noi, però, c’erano delle regole e soprattutto dei divieti.
Tra le cose che ci era proibito fare ne ricordo due particolarmente importanti: non fare il bagno nei bevai e non andare alle Maccalube. I bevai, piscine pubbliche di un tempo, unica fonte di ristorazione nelle afose giornate estive, rappresentavano un pericolo da evitare, visto che qualcuno ci aveva perso la vita, sguazzandoci per gioco. Subito dopo, o subito prima, in base all’ordine di importanza personale, venivano le Maccalube, zona off-limits, per la presenza di pozze di fango in cui era possibile scivolare.
Noi Aragonesi, dunque, le Maccalube le abbiamo sempre temute e allo stesso tempo rispettate. Raggiungere “L’occhiu” era la più alta forma di trasgressione praticata da un adolescente, puntualmente punito per avere infranto il divieto, reo e vittima di un atto le cui prove difficilmente potevano essere cancellate: la visita alle “Macalube” era sempre accompagnata da macchie inconfondibili di fango.
E quantunque a memoria d’uomo, mai alcun aragonese avesse perso la vita tra quelle zolle, gli enormi boati e le colate di fango che periodicamente venivano uditi e viste, mettevano in guardia i cittadini di Aragona, che con cura e rispetto evitavano sapientemente di mettere piede in quel luogo dimenticato da Dio.
Ma i tempi cambiano. Arrivano nuove tendenze e si scopre che Maccalube, luogo di interesse per scrittori e studiosi di molti paesi, potrebbero rappresentare un sito di interesse turistico, tanto da diventare riserva naturale.
A poco a poco svaniscono le paure e la scienza inizia a dare le dovute spiegazioni a quei fenomeni tanto strani che la tradizione spiegava attraverso la leggenda. La cura, il rispetto per l’ambiente prendono il sopravvento, sino a fare dimenticare, anche agli Aragonesi, il timore legato a quei luoghi.
Non nascondo che si sia, in qualche modo, trattato di un fenomeno quasi fisiologico, in cui la scienza ha polverizzato miti e leggende, decretando il controllo del fenomeno e, ancora una volta, il potere dell’uomo.
Pertanto dal divieto assoluto di mettere piede nella terra delle Macalube si è passati alle visite guidate, organizzate dall’Ente gestore, Legambiente. Decine e decine di scolaresche ogni anno hanno affollato il parco e centinaia di aragonesi hanno iniziato a raggiungere giornalmente la riserva per la consueta passeggiata pomeridiana. Una cambiamento radicale, una svolta epocale.
Anche io ho preso parte a questo cambiamento, dimenticando quanto mi era stato trasmesso durante l’infanzia, non solo raggiungendo ogni mattina, per anni, durante la mia corsa le Maccalube, ma accompagnando come insegnante decine di studenti, che tra le attività progettuali di educazione ambientale hanno avuto la possibilità di visitare le riserva guidati da personale esperto.
Tuttavia la tragedia di un anno fa impone una seria riflessione: se ci fossimo fidati ancora dei nostri genitori, e di quanto a loro era stato tramandato, con buone probabilità non solo questa tragedia sarebbe stata scongiurata, ma avremmo certamente evitato di mettere a rischio centinaia e centinaia di studenti che in nome della scienza e per amore dell’ambiente hanno potuto visitare un luogo da oggi tanto maledetto.