Mimmo Butera, il ricordo di Valeria Iannuzzo
Per fare di un uomo un grande uomo sono necessari tanti pregi. Di Mimmo, l’avvocato Butera, come in molti amavamo chiamarlo, si è scritto tanto. Inutile sottolineare la sua profonda cultura, l’amore per i libri, la sua sensibilità per gli indifesi, l’innata ironia. Di tutto questo l’avvocato era un portatore sano, così come sani erano i suoi principi. E io a parlare di queste cose neanche ci provo.
Conosco bene invece il suo essere padre, un padre attento e amorevole, presente, indissolubilmente innamorato delle due uniche donne della sua vita: Maria Chiara e Antonella, o Antonella e Maria Chiara. Non so chi mettere prima e chi dopo, non posso porle su piani diversi, forse perché i Butera erano una cosa sola. Lo erano nel bene e nel male, nella salute e nella malattia, nella buona e nella cattiva sorte. Lo hanno ampiamente dimostrato.
Con Mimmo e Antonella ho condiviso il percorso delle elementari di Maria Chiara. Che rompi che era quel Mimmo, giuro certe volte lo avrei strozzato. Amava la perfezione e la pretendeva anche da sua figlia. “Come va Maria Chiara? Ha sbagliato una verifica d’Inglese. Ha la media del nove, pensi che sia il caso di farla aiutare?”
“No, Mimmo, non ha bisogno di essere aiutata, ogni tanto ci sta fare male una verifica, i bambini hanno il diritto di sbagliare, un brutto voto li prepara alla vita”.
Ecco, a vederlo così l’avvocato poteva sembrare uno di quei genitori da evitare, di quelli che ti stressano, che non vorresti mai sentire. Invece era ben altro. Era uno che si calava nei panni dell’altro, dimenticando persino di essere padre.
La mia prima e spero unica corsa in ambulanza verso il pronto soccorso l’ho fatta con Maria Chiara. Era accidentalmente caduta durante un gioco in cortile durante i primi giorni di scuola in terza o quarta elementare. Una caduta stupida, fatta quasi a rallentatore. Niente di preoccupante, sarebbe bastato un po’ di ghiaccio per placare un eventuale ematoma. Peccato, però, che non si trattasse di un ematoma, ma di una lacerazione multipla al ginocchio.
Il mio primo pensiero, dopo aver chiamato Antonella, è andato subito a lui, in quel momento a Palermo, a lavoro nel suo ufficio, ignaro della reale situazione. L’ho chiamato mentre varcavo la soglia del pronto soccorso, cercando di rassicuralo. L’ho chiamato dal reparto di chirurgia, mentre cercavano di mettere dei punti di sutura su quel ginocchio mal combinato. L’ho chiamato mentre lasciavamo l’ospedale, rassicurandolo che al suo arrivo Maria Chiara e Antonella sarebbero state già a casa. L’ho chiamato pregandolo di sporgere denuncia per quell’incidente stupido, ma devastante. L’ho pregato anche nei giorni successivi di farlo.
Mimmo non l’ha mai fatto. Per giorni, mesi, durante la lunga convalescenza della bambina, costretta all’immobilità, mentre peregrinava da un chirurgo plastico all’altro, mi chiamava per tranquillizzarmi, per dirmi che tutto procedeva bene, che dovevo stare tranquilla.
Ecco, i ruoli si erano invertiti: Mimmo aveva compreso quanto io fossi rimasta scossa, traumatizzata dall’evento, irrimediabilmente sconvolta da correre in mio soccorso, mentre cercava di rimediare ai danni provocati da quella stupida caduta. Non era raro, che durante le sue pause pranzo, mi chiamasse con una scusa per chiedermi come andava Maria Chiara, per poi fare cadere accidentalmente il discorso su come mi sentissi. È andata così per qualche anno, fino a quando Maria Chiara frequentava le medie. Poi il tempo ha fatto il suo dovere.
Io comunque quell’incidente non lo scorderò mai. Tutte le volte che porto fuori i miei studenti continuo inutilmente a gridare “Non correte, state fermi”. Lo so che è come chiedere alle aquile di non volare, ma è più forte di me.Le cicatrici di quella ferita sono rimaste indelebilmente incise nella mia memoria insieme alla profonda umanità e all’immensità d’animo di un uomo che ha saputo sempre essere un grande padre senza mai dimenticare di essere umano.
A fare notizia, sulle pagine dei giornali, sono sempre le storie di genitori che schiaffeggiano e umiliano gli insegnanti.
Io questa storia l’ho sempre raccontata a colleghi ed amici come esempio e rara eccezione. Non avrei mai voluto scriverla, ma oggi forse è arrivato il momento di farlo.
Ecco, per fare di un uomo un grande uomo forse non sono necessari grandi attributi, ma grande umanità. Mimmo era immensamente umano.
Buon viaggio Avvocato, da lassù veglia sempre su tutti i miei alunni.