Due scuole piangono due giovani vite spezzate dalla furia omicida di una persona alla quale erano certi di poter aprire con fiducia la porta di casa.
La tragedia che due giorni fa ha colpito la città di Licata ha gettato nell’angoscia e nella disperazione una intera comunità. Siamo sconvolti, attoniti, pietrificati.
Due scuole si sono ritrovate a dover deporre fiori bianchi su due banchi rimasti improvvisamente vuoti e freddi. Due giovani vite spezzate dalla furia omicida di una persona alla quale eran certi di poter aprire con fiducia la porta di casa.
Sono volati via con i loro genitori. Sulle macerie di una crudeltà senza fine, di una mattanza incomprensibile, ci ritroviamo adesso a dover capire come riaccendere la luce nei cuori di chi è rimasto. Come confortare i compagni? Non troviamo le parole, non ci esce neanche una sillaba. Anni di studi, di corsi di formazione, di esperienza didattica per ritrovarsi con un senso di impotenza e di inadeguatezza da farci sentire inutili e incapaci.
“Ci hanno privati del suo sorriso”
Questo gridano gli amici, i compagni di Alessia. E questo è quello che sicuramente gridano i compagni di Vincenzo, nella scuola media a pochi isolati dal nostro Liceo.
Si può far comprendere ai ragazzi la fatalità di una calamità naturale, di un disastro imprevedibile, di una malattia incurabile, ma come spiegare una tragedia che ha le sue radici in un odio che ha minato e sconvolto dal suo interno una intera famiglia? Come far loro credere che la famiglia rimane comunque un porto sicuro, un’ancora di salvezza, un nido caldo e accogliente dove rannicchiarsi felici?
Sarà un compito arduo, la prova più difficile che saremo chiamati ad affrontare nei prossimi giorni. E siamo obbligati a superare e a far superare questa prova. Lo dobbiamo ai nostri studenti, che sono i nostri figli e il nostro specchio. E lo dobbiamo a noi stessi.