“Dove vado lascio il mio cuore”. il grande cantautore bolognese amava molto la Sicilia. Nel decennale della morte lo ricorda Raimondo Moncada.
Lucio Dalla non solo bolognese, ma anche siciliano, agrigentino, di altre terre del Sud. Lo ha dichiarato pubblicamente, lo ha scritto e lo ha pure cantato. Come non ricordare il suo eremo in Sicilia, sulle pendici dell’Etna, a Milo, vicino l’abitazione dell’amico Franco Battiato, dove si ritirava, si ricaricava, produceva vino e trovava ispirazione per le sue nuove composizioni con i profumi, il calore, il fascino, la storia della terra del sole.
Ha scritto canzoni come Siciliano, tanto per rimanere in Sicilia, o Henna, per allacciarci alla drammatica attualità, che in questi giorni risuona contro la guerra in Ucraina, in filo diffusione, in Via D’Azeglio, a pochi passi da Piazza Maggiore, dove aveva casa:
Troppo sangue qua e là sotto i cieli di lucide stelle
Nei silenzi dell’immensità
ma chissà se cambierà oh non so
se in questo futuro nero buio
Forse c’è qualcosa che ci cambierà
io credo che il dolore è il dolore che ci cambierà
Adesso basta sangue
ma non vedi
Non stiamo nemmeno più in piedi… un po’ di pietà.
Ricordo Lucio Dalla nel decennale della sua scomparsa, avvenuta l’1 marzo 2012, cogliendo un aspetto a me caro: il suo intimo legame con la mia terra, la Sicilia, così da sentirmi ancora più fiero delle mie radici, delle mie origini.
“Io dove vado lascio il mio cuore”, ha detto Lucio Dalla ad Agrigento, sul palco della Valle dei Templi, il 15 maggio 2005, nel presentare una versione siciliana della sua canzone simbolo Piazza Grande con l’arrangiamento e l’accompagnamento dei Dioscuri – il gruppo creato nel 1973 da Eduardo Cicala e Giovanni Lo Brutto – con marranzano, friscalettu, percussioni, fisarmonica, mandolini, chitarre.
Un esperimento, “una fusione tra due etnie musicali”, un’improvvisazione, che ha voluto lo stesso artista bolognese “a dimostrazione di quello che dico”, del suo genuino sentimento per la Sicilia e per i luoghi da lui tanto amati e abitati. Nell’esibizione della Valle dei Templi, scrive il giornalista Mario Luzzatto Fegiz nel libro Lucio Dalla – Primo tempo (Corriere della Sera, 2012), “Lucio Dalla dichiara il suo amore incondizionato per il Sud”.
Lucio Dalla amava veramente la Sicilia, la mia terra, tanto da volerla abitare, respirare, girare, vivere. Ne ho conferma leggendo il libro Dalla Luce alla notte (Bompiani, 2013), scritto da Marco Alemanno, attore, cantante, produttore, fotografo, scrittore, che per nove anni – scrive – ha vissuto al fianco dell’artista come un regalo: “Lucio adorava la luce siciliana, quei cieli che definiva ‘vergognosamente azzurri’, la cordialità antica e comunque riservata della gente e tutto ciò che fosse profondamente siciliano: i templi di Agrigento, Selinunte e Segesta, segnati dal passaggio della storia; i teatri antichi di Siracusa e Morgantina” e poi Ragusa Ibla, Noto, le grotte di Pantalica, Vendicari e Marzamemi; il complesso monumentale di San Giovanni degli Eremiti di Palermo, i mosaici di Piazza Armerina, le isole di Favignana, Lampedusa e Pantelleria, le Eolie; i monti Nebrodi e le Madonie; i piccoli paesi di Geraci, Gangi e Castelbuono; Castel di Tusa con la Fiumara d’arte dell’amico Antonio Presti, fino ad arrivare sull’Etna, a Milo, dove Lucio Dalla prese casa agli inizi degli anni Novanta. “Ha familiarizzato con questi posti d’incredibile bellezza – scrive ancora Marco Alemanno -, creando anche qui delle amicizie semplici e profonde durate fino all’ultimo. In Sicilia cercò di vivere il più possibile da vero siciliano”.
E Lucio Dalla canta, canta, continua a comporre e a cantare nel palcoscenico della sua nuova dimensione:
Sono siciliano… nord-africano…
un po’ norvegese… ma comunque siciliano.
E canta, canta, con la sua Bologna sempre nel cuore, dove è nato il 4 marzo 1943 e che gli ha organizzato un meritato tributo:
Una famiglia vera e propria non ce l’ho
e la mia casa è Piazza Grande
A chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.