Ricordi di ieri e riflessioni di oggi. La DAD, l’Omicron e il diritto di essere malati
Vi ricordate quando da piccoli ci veniva la febbre? Che bello che era: una settimana di vacanza assicurata. Superate le prime 24/48, quando le lineette del termometro al mercurio iniziavano a scendere, la febbre, il naso chiuso, la tosse e se era un virus intestinale, chiamato puntualmente acetone, tendevano ad affievolirsi, allora arrivava la vacanza.
Per me la febbre era un vero e proprio evento, non ero una bambina fortunata, mi veniva eccezionalmente, senza mai superare i 38 gradi centigradi. Comunque, mi rifacevo con le malattie esantematiche: morbillo, varicella, rosolia, scarlattina, quinta e sesta malattia, e in quelle rarissime occasioni rimanevo a casa.
Me ne stavo beata sotto le calde coperte, coccolata da mia madre, che per l’occasione mi portava a letto il the con le fette biscottate, la pastina in brodo, l’uovo alla coque, la frutta cotta. Tante attenzioni, cartoni in televisione, visite dei parenti più stretti e soprattutto niente scuola e ancora meglio niente compiti.
Il rientro a scuola era doveroso, ma dopotutto mi ero guadagnata una bella vacanza. Peccato che a me toccasse solo eccezionalmente, mentre c’erano alcuni dei miei compagni di classe sempre malaticci e dunque verso di loro erano concentrate le mie invidie più sincere.
Anche da grande la mia fortuna, da questo punto di vista, non è mai cambiata. Irrobustito dal vaccino antinfluenzale, che ormai faccio da decenni, il mio fisico non sembra volersi piegare a quella che oggi chiamiamo influenza e forse, ancora non è detto, neanche al Covid e a tutte le sue varianti. Per quanto riguarda quest’ultimo devo dire che da come stanno andando le cose se oggi avessi otto anni tanto contenta di prenderlo non sarei.
Chi rimane a casa, isolato da amici, parenti e compagni, più che una vacanza, come avveniva ai miei tempi, subisce una vera e propria serie di torture, perché oltre ad avere tutti i sintomi della nuova variante, come febbre, tosse, dolori articolari, vomito, diarrea e altro ancora, deve pure subire la somma tortura della DAD.
Una volta accertata la positività, le famiglie ne danno tempestivamente comunicazione alla scuola e chiedono l’attivazione della DAD per non perdere giorni di scuola e non rimanere indietro con i compiti.
Superati indenni i primi due o tre giorni di positività, ancora intontiti e disorientati, i bambini vengono piazzati dietro ad un monitor per seguire le lezioni a distanza, fare esercitazioni, assistere ad interrogazioni. Insomma, come se nella loro vita non fosse accaduto nulla si ritrovano a seguire una routine che mette a dura prova il loro sistema nervoso, psichico e fisico. Finite le ore di lezione, che vanno da tre a cinque per i più eroici, passano a svolgere i compiti per casa, sempre nella loro casa. Il tutto, ovviamente, sotto l’occhio vigile di genitori anch’essi spesso positivi, ma indiscutibilmente attenti, scrupolosi e visibilmente sclerati per la mole di lavoro da sostenere nel tentativo di gestire casa, famiglia, lezioni a distanza e compiti per casa.
Gli insegnanti, povere anime, da parte loro, presi dallo stress di gestire studenti in presenza e studenti online, anche se si accorgono di quanto sta accadendo, come soldatini chiamati alle armi, continuano a marciare obbedendo agli ordini senza mai ribattere o disertare. Viene ordinato che siano in presenza? E sono in presenza. Viene ordinato che siano in DAD? E sono in DAD. Viene ordinata la didattica mista? E didattica mista sia. Insomma come pedine di una fredda scacchiera di marmo, continuano a spostarsi da una casella all’atra, cercando di fare sempre il loro dovere per garantire il diritto allo studio e all’istruzione dei bambini.
Ma il diritto alla salute che fine ha fatto? E il diritto di essere bambini? Ma perché continuiamo a vederli solo come vasi da riempire? Se i grandi virologi non fanno altro che ripeterci che non si tratta di una banale influenza, perché ci ostiniamo a trattare l’Omicron come tale?
Se l’Omicron fosse innocuo, nessuno sarebbe costretto all’isolamento. Ma al di là della contagiosità, credetemi qualche problemuccio lo dà. I bambini negativizzati tornano a scuola pallidi, stanchi, stressati e spesso manifestano i sintomi del virus anche a distanza di settimane.
Dunque mi chiedo: ma perché non viene più garantito ai bambini il diritto di essere malati?
Fare la DAD e svolgere i compiti dovrebbe essere una scelta sapientemente ponderata e non una prassi da attuare sempre e comunque solo perché la norma lo prevede.
Per quanto sfortunata mi potessi considerare io da bambina, ripensandoci bene, oggi posso senza alcuna ombra di dubbio dire di essere stata una bambina veramente fortunata: non mi è mai stato negato il diritto di essere malata.