Un viaggio per rivivere il percorso che ha spinto i propri antenati ad andarsene dai territori natii. Un cammino a ritroso che ha come obiettivo conoscere le origini geografiche, ma anche umane e sentimentali dei luoghi da cui tutto ebbe inizio
Succedeva questo, in anni di povertà vera, quando le famiglie avevano anche dieci componenti, quando erano solo i padri a lavorare (e i più “fortunati” riuscivano a far ingaggiare i figli maschi adolescenti), quando l’unico pasto giornaliero era molto spesso qualche patata bollita o ortaggi trovati sulla via di casa all’imbrunire. Ebbene, era il dopoguerra, molto prima del boom economico – che in Sicilia, tra l’altro, tardò ad arrivare – e le vite erano vissute in case mono o bilocali di gesso e col tetto di canne. I campi appartenevano ai latifondisti (i molto poco amati “agrari”) e lì il lavoro, ahimè, non bastava per sfamare tutti. Nessun biasimo, quindi, nei confronti di chi ebbe il coraggio d’andare via da una condizione del genere, spesso senza neanche voltarsi indietro per cristallizzare con lo sguardo un ultimo ricordo da portarsi via, lontano. Perché, infatti, si andava davvero lontano, molto lontano, oltreoceano, dove tutto era straniero ma dove la terra dell’abbondanza prometteva benessere e tranquillità. Un’emigrazione continua, senza sosta, durata anni e verso molte nazioni, dal Belgio alla Francia, dalla Germania agli Stati Uniti, dal Canada all’Australia. Pur di scappare dalla fame e dalla polvere ci si trasferiva anche dall’altra parte del mondo, pochissime le alternative, tantissimi, invece, i rimpianti. E tutto questo iniziò circa settant’anni fa, come siamo soliti ascoltare dai racconti familiari narrati, praticamente, in ogni casa siciliana. Certo, qualcuno potrebbe anche aggiungere che oggi si emigra lo stesso, anzi di più, ma sarebbe troppo facile replicare che non è come una volta, perché adesso si va via con tanto di titolo di studio in mano, comodità prima impensabili e una rete di conoscenze allora inesistenti: insomma, il paragone non reggerebbe affatto.
Ma ecco che dopo tanti anni, qualcosa di inedito sta però davvero accadendo, considerato che dagli anni ‘50 sono passate quasi tre generazioni. Il sorgere, nella mente di molti nipoti e pronipoti di quegli emigrati, di un’esigenza particolare, molto sentita, personalissima, per qualcuno inspiegabile, ovvero il ricongiungimento con lo spirito stesso della propria famiglia d’origine e con l’essenza umana che spiega la nostra esistenza su questa Terra. Un viaggio per rivivere, a distanza di così tanti anni, il percorso – molto doloroso ma inevitabile – che ha spinto i propri antenati ad andarsene dai territori natii. Un cammino a ritroso che ha come obiettivo conoscere le origini geografiche, ma anche umane e sentimentali dei luoghi da cui tutto ebbe inizio. Lo chiamano “Turismo delle radici” e nasce per tentare di colmare la distanza tra la propria vita così com’è oggi in un qualsiasi luogo del mondo, con quella (ipotetica e isolana) che sarebbe potuta essere ma che invece non è stata. Il tutto, spesso, vissuto in un vortice continuo di pensieri, considerazioni ed emozioni sempre più coinvolgente, a tal punto che c’è anche chi poi alla fine del viaggio, addirittura, decide di trasferirsi definitivamente in Sicilia per iniziare una nuova vita, mettendo un punto a quella precedente (come fece, per esempio, nel 2003 l’attore statunitense Vincent Schiavelli che andò a vivere nella “sua” Polizzi Generosa).
Durante queste visite, chi è alla ricerca delle proprie radici visita i paesi d’origine, le loro viuzze ben conservate, i musei incastonati tra esse, le mille particolarità (dai teatri di pietra alle fontane, dai bagni termali a scalinate e belvederi) che rendono la Sicilia l’“isola dei borghi” e, ovviamente, ne assapora le innumerevoli prelibatezze enogarstronomiche. Ma poi avviene anche qualcos’altro, a un livello quasi sensoriale, come la conoscenza diretta dei parenti, ascoltare i ricordi narrati direttamente dalla voce degli anziani, con la loro lingua quasi scomparsa e la loro gestualità antica, entrare nelle stanze dove vissero i propri avi da bambini, annusare in strada l’inebriante profumo del gelsomino selvatico tanto evocato piuttosto che raccogliere il frutto direttamente dall’albero di fico protagonista di tante storie sentite: decisamente un’esperienza che potrebbe far cambiare la visione prospettica della propria vita a chiunque.
E la particolarità di questi viaggi sta nel poter essere organizzati sia in totale autonomia che grazie al supporto di operatori locali del settore, i quali assistono i “viandanti” negli spostamenti, nelle indicazioni su cosa poter fare e vedere, così come nell’eventuale “disbrigo pratiche”, quando, come spesso accade, si cerchino anche documenti dei capostipiti da richiedere per essere conservati o utilizzati (com’è stato per l’attore hollywoodiano John Turturro, naturalizzato cittadino italiano proprio grazie alla nonna nata ad Aragona, nell’agrigentino). E a volte capita che il viaggio dia poi alla luce anche un libro, straripante di ricordi e sentimenti, come Dreaming of Sicily-A Travel Memoir, pubblicato nel 2009 da Betsy Vincent Hoffman, una direttrice di un museo della ceramica, nata in Pennsylvania e che nel 1996 decide di intraprendere il suo primo viaggio in Sicilia per visitare (e conoscere) il piccolo paese da cui era partita la nonna paterna, Santa Elisabetta, sempre nell’agrigentino. Il rapporto strettissimo maturato negli Stati Uniti con la sua grandma, che le raccontava di deliziosi sughi al pomodoro, di cucine inebrianti profumi di ogni tipo e vicini di casa dall’interazione umana contagiosa, le ha fatto nascere dentro un fortissimo desiderio di conoscenza della terra d’origine della propria famiglia (il Vincent del cognome sta, infatti, per Di Vincenzo) tanto da indurre l’autrice a dedicarle il libro e a scrivere che una nonna dalla Sicilia è una benedizione di Dio. Ma di esempi di questo tipo se ne possono fare molti altri, dal legame sempre vivo che unisce la comunità racalmutese presente nella cittadina canadese di Hamilton proprio col paese di Leonardo Sciascia, ai parenti del politico e sindacalista Lorenzo Panepinto (ucciso con due colpi di fucile nel 1911) che, provenienti da San Francisco, ultimamente hanno visitato Santo Stefano Quisquina. Fino ai casi che hanno fatto il giro delle testate di mezzo mondo, come quello di Lady Gaga (il cui bisnonno partì dalla piccola Naso, nel messinese) o del pilota Jean Alesi (il cui padre faceva il carrozziere ad Alcamo).
L’isola al centro del Mediterraneo vista come luogo custode della memoria familiare, vissuta come scrigno in cui conservare l’anima delle origini, terra da cui si partiva e a cui – come in una chiusura ideale del cerchio delle proprie radici – si ritorna sempre, per conoscere e per conoscersi.