Poster, gadget, souvenir. Nel covo di Matteo Messina Denaro le cianfrusaglie di qualunque baby-boomer, ex ragazzo degli anni Ottanta. Un boss post-moderno che regalava i suoi selfie
Avevano ragione i due giovani autori del murales apparso sui muri di Palermo una decina di anni fa a presentare l’immagine di Matteo Messina Denaro come una tela di Andy Wharol: avevano colto l’anima pop dell’ultimo boss stragista di Cosa Nostra.
Questo nulla toglie alla violenza, alla caratura criminale e alla furia omicida del capo mafioso di Castelvetrano, latitante per trent’anni, ma ci offre una lettura del modo di essere mafiosi negli anni Duemila.
Matteo Messina Denaro è un boomer. E al di là dell’allusione involontaria alla sua propensione a usare tritolo ed esplosivi, significa che aveva vent’anni nella stagione di Drive In, di Mtv, della disco music e dei tormentoni dei Righeira. Era già un predestinato, un giovane boss figlio di un boss, ma nelle sue estati a Selinunte assaggiava la dolcezza degli anni Ottanta – anni che in Sicilia erano segnati dalla violenza corleonese.
Matteo Messina Denaro resta ancora un boomer, malgrado i suoi sessant’anni, di cui metà in latitanza e il suo tumore al colon. E come molti suoi coetanei è cresciuto dentro la cultura pop del suo tempo.
Il selfie fatto con un medico all’ospedale La Maddalena di Palermo ne è la riprova. Non sono proprio i sessantenni i più viziati di facebook, di instagram? Non sono loro che fotografano e postano tramonti, piatti di spaghetti con le vongole, cani, gatti, figli, lauree e viaggi? E lo stesso fa Matteo Messina Denaro, sicuro che sua invisibilità non potesse essere turbata da uno scatto sui social.
Matteo Messina Denaro teneva in casa un poster con Marlon Brando nei panni di don Vito Corleone. Un magnete con la faccia del Padrino di Francis Ford Coppola e la frase: il padrino sono io. Una tazzina da caffè con l’immagine di Michael Corleone. Oggetti che magari si è comprato da sé, ma che fanno pensare piuttosto a regalini ironici da parte di una di quelle donne che rallegravano la solitudine del boss.
Quei gadget ricordano le statuine e i souvenir che si trovano dei boomer diventati dentisti, architetti o giornalisti: il modo di restare bambini e prendersi ironicamente in giro, consuetudine che attiene alla generazione cresciuta con le pagine del settimanale satirico “Cuore”, con le gag di Giorgio Faletti e di Gianfranco D’Angelo. Una generazione un po’ modaiola – con il Monclair e le Adidas – che ha sempre voluto mantenere, anche in questo modo, la propria jeunesse dorèe, emersa e tramontata negli psichedelici anni Ottanta.
Quanta differenza con la ricotta e la cicoria di Provenzano, con la faccia contadina e le camicie di flanella di Totò Riina: padrini anche quelli, ma padrini di una Sicilia rurale e arcaica, legati alla terra, alla campagna, alla saggezza sgrammaticata degli antichi. Matteo Messina Denaro, pop e postmoderno, allevato a mafia e telefilm americani, sembra più simile alla parodia dei Sopranos, al Robert De Niro di Terapie e pallottole, boss che ammazzano e si riempiono di antidepressivi. E quelle pillole di Viagra trovate nel suo covo, fanno pensare a una debolezza o a una vanità: il desiderio di restare giovani e vigorosi. Ma, si sa, anche i boss tramontano.