Fondato a Racalmuto nel 1980

Il Lessico del Silenzio

E’ il momento di smettere di tacere. Il silenzio è indice sempre di collusione e connivenza

Bia Cusumano

Sembrerebbe ossimorico parlare del lessico del “silenzio”, eppure è il linguaggio della mafia, fatto da parole centellinate, spezzettate, monche, occhi torvi e chini, capi che si abbassano, cenni d’intesa, appena qualche monosillabo. E’ un lessico che passa attraverso il silenzio di chi si dice tutto perché già sa cosa deve fare, cosa deve accadere, come deve agire. E’ una lingua mistificante e mistificatoria che deforma le parole usandole non per la verità ma per le menzogne.

Nella mia esperienza di docente e da cittadina castelvetranese, mi sono imbattuta spesso in questo lessico che ho definito una cappa di piombo, una camicia di forza, un vero e proprio bavaglio al quale ho risposto con il lessico delle parole pronunciate e proferite con forza e coraggio, senza alcuna mistificazione o deformazione. Essere intellettuali oggi a Castelvetrano e dire la verità passa attraverso questo salto necessario ed inevitabile, da una tipologia di lessico ad un altro completamente opposto.

E’ il momento di smettere di tacere. Il silenzio è indice sempre di collusione e connivenza. I docenti, gli intellettuali, gli scrittori non possono tacere. Manifestare contro la mafia adesso non basta più, organizzare fiaccolate, sit-in, cortei non basta più. E’ il momento delle consapevolezze e del coraggio. Ognuno torni a fare il proprio dovere, con senso etico e rispetto profondo per chi ha creduto e continua a credere nelle Istituzioni e nei valori di libertà, giustizia, onestà, lealtà che esse rappresentano.

Mettere a tacere è mafia. Girare lo sguardo altrove è mafia. Far finta di non aver visto o sentito è mafia. Non può bastare più sentirsi innocenti perché non si è fatto saltare in aria il corpo di un altro essere umano, perché non si è stati il mandante o l’esecutore materiale di un omicidio. Si è colpevoli se si è visto e per paura si è taciuto. Indurre gli altri con intimidazioni e velate minacce a tacere è atteggiamento mafioso, difficile da sradicare ma non impossibile.

Bisogna ripartire come se l’arresto di Matteo Messina Denaro fosse l’anno zero per la Valle del Belìce e per tutta la Sicilia. E’ necessario che lo Stato faccia sentire la sua presenza a tutti i cittadini, alla gente che ha visto in questo fantasma di carne o il boss innominato e innominabile o un mito favoloso e leggendario ma comunque colui che assicurava, se pur tacitamente, lavoro e favori a molte famiglie che non avrebbero potuto sbarcare il lunario o risolvere problemi impellenti.

Se Matteo Messina Denaro è stato in molti modi protetto, favorito e gli è stato concesso di essere, restare ed operare nel proprio territorio, le colpe non vanno cercate soltanto nella gente comune che in maniera omertosa vedeva, sapeva, sentiva e non ha mai parlato.

Troppo facile e comodo far passare la Sicilia per una terra tutta mafiosa e tutta collusa. Perché è proprio in questa vacatio dello Stato, in questi interstizi e vuoti di presenza che si è insinuata la mafia sostituendosi con il suo lessico del silenzio allo Stato e al linguaggio delle parole dette e pronunciate a voce alta, senza paura di ripercussioni, vendette e punizioni. Acquisire il coraggio della verità e superare il lessico del silenzio o essere colpevolizzati e massacrati perché si è parlato a testa alta e senza paura è un percorso arduo, tutto in salita. Trenta anni di latitanza sono tanti, troppi e la vittoria dello Stato è e resta monca. Ricostruire trenta anni di storia di stragi, uccisioni, carneficine, attentati, non è possibile sia compiuto in poche settimane. Occorre molto tempo, pazienza, forza e tanto coraggio. E’ il momento che nessuno punti il dito per condannare chi ha il coraggio di dire e raccontare la verità.

E’ il momento di parlare a cuore aperto alle nuove generazioni tenute all’oscuro appositamente di ciò che è accaduto in questi trenta anni. La scuola, come ente primario di formazione, può e deve fare molto. Io da docente ho sempre parlato nelle mie classi di mafia e antimafia, di legalità e senso etico delle parole, perché credo fermamente che le parole possano cambiare le rotte e i destini, possano cambiare le vite e avere un potere salvifico. Aggrappata a questa salda certezza ho insegnato e insegno ai mei giovani il coraggio della verità anche a costo di pagare un prezzo alto. La dignità vale più della vita. Da intellettuale e scrittrice so di essere in trincea, lo accetto e da sempre combatto contro questo sistema di collusioni e di connivenze mafiose. Ancora oggi non cedo né ad intimidazioni né a subdole provocazioni. E’ ben altro il mio ruolo e il contributo che sento di dover dare ai mei giovani e alla mia città, oggi martoriata e messa in ginocchio ma che può rialzare la testa, lo sguardo e riscattarsi dal marchio infamante di essere la città che ha dato i natali ad un boss leggendario.

“In principio era il Logos”. Bene, il mondo nasce e si ricrea attraverso le parole. E’ ancora possibile rinascere e rifondare un nuovo modo di esistere e stare al mondo, un nuovo modo di narrarlo ai nostri giovani rinnegando ogni giorno il lessico del silenzio e tornando ad usare il lessico della verità.

Dal Quotidiano La Sicilia del 26 gennaio 2023

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