Fondato a Racalmuto nel 1980

Catumerèa: “sei tu il sud”

L’invisibile grafica dei segni dell’anima di Leo Luceri                   

Laggiù, a Martano, nel mitico Salento, in un “sud meridiano…staccato dal sud…isola al largo”, corre silente la storica via “Catumerèa”, una stretta e lunga strada che un tempo univa il centro con la via Traiana Calabra, grande arteria che collegava Brindisi a Otranto passando per Lecce e congiungendosi con l’Appia Antica. Un tracciato che vedeva una confluenza di viandanti, mercanti e pellegrini sulla via per Gerusalemme.                                                                                                                                        Quella strada, la “Catumerèa”, è sempre lì, nel cuore di Martano e dei martanesi, con le sue corti, i suoi vicoletti laterali, i suoi slarghi, i suoi basolati, oggi come ieri fieri custodi del mondo greco; oggi più di ieri poetica assonanza e consonanza con mondi di ispanica cultura, muti testimoni dei Lorca, dei Goya, dei cantanti di flamenco.

Realtà diverse che la forza della poesia può assimilare in una confluenza di linguaggi e di prose dell’anima.

Microcosmi in cui rifugiarsi ancora.

“Catumerèa”, il libellum di Leo Luceri, è tutto racchiuso qui, in questo piccolo-grande mondo che è il Salento, crogiolo di culture che sono portavoce di quelle tradizioni di Bellezza e Amore sopravvissute al tempo; in questo luogo degli Dei culla di lingue giunte fino a noi, il griko e il salentino. Lingue che Luceri conosce e parla a dispetto di un’epoca che vuole assimilare tutto e tutti trascurando i dialetti, che poi dialetti a volte non sono.

Da qui l’amore dell’Autore per le lingue e le culture. Da qui il convincimento del grande significato sociale e didattico che porta in nuce la veicolazione delle lingue e delle culture.

Da qui la sua silloge di poesie, Catumerèa, che sono tutte un percorso tra lingue e culture diverse, dialetti e idiomi vari: il greco, il griko, il salentino, lo spagnolo, il catalano, lo slovacco, il tedesco. Da qui il suo bisogno di tradurre sé stesso, anzi, per meglio dire, di esprimersi in idiomi differenti con lo stesso stato d’animo, cosa non facile se si considera che una lingua è anche depositaria di dati storici, di valori e valenze non sempre facilmente riproducibili in una semplice traduzione.

Nell’invisibile grafica dei segni dell’anima di Leo Luceri, fluttuano fonemi e lessemi che emigrano, ritornano e si sovrappongono con suoni e quadretti già visti, in una coralità composita e composta, lungo il percorso dell’antica via Catumerèa di Martano, con tutta quella sua forza semantica, di greca derivazione, che ritroviamo nella poesia di attacco del libellum, “A Madrid con Vittorio Bodini”. La riscopriamo a “Cuatro Caminos”, il notissimo quartiere – stazione della metropolitana di Madrid. Un incipit carico di significati e significanti dove poesia e dramma si fondono e si confondono in una sinfonia di linguaggi e di lacerazioni dell’anima. Una poesia che diventa subito messaggio sociale e corale riportandoci a poeti lontani ma vicini come Pablo Neruda e Jorge Luis Borges.

Ma che, innanzitutto, si coniuga e si immerge nel mondo classico in una metastorica fusione di linguaggi.

“Le vite parallele” di Plutarco riemergono e tornano a bussare alla porta della nostra mente insistenti, ammiccanti, scrutatrici, con tutti quei loro sensi sottesi di filosofica derivazione.

La poesia di Leo Luceri è tutta una metafora, un altrove ambito e ricercato, un ipogeo di significati e significanti che riemerge ad ogni parola, una “storia inventata fintamente conosciuta” dove

“resta il tuo poeta

quello che porti sempre con te”

—-

“Tra nostalgie prese in prestito

da futuri altrui”

con echi lontani ed echi vicini, da Cardarelli a Montale, in una veste grafica composta ed elegante, degna di ospitare la Poesia. La Musicaos Editore.

Catumerèa, “parte bassa” in griko; Catumerèa, che dà il titolo al libro, ci riporta al salmodiare lento di monaci glottologi con “foresti dittonghi”, alla tradizione povero-drammatico-poetica dei limoni di pane (limoni dalla spessa polpa bianca che, nei periodi di grande povertà, si mangiavano al posto del pane).

La parola, giocata e vibrata, liberata, diventa un’assimilazione di dati: di sapori vissuti intensamente, prima di tutto con il gusto e, subito dopo, o forse al tempo stesso, con tutti gli altri sensi. L’essere leccese è come inerpicarsi tra i lecceti; l’essere salentino è come diventare “ingordi di salenti”. Una cifra linguistica che attinge a codici vari e variegati ma, soprattutto, agli spazi dell’anima.

“E’ finzione

È solo apparenza

Il nostro pregio barocco”

Immergersi nella natura arsa assaporandone la profonda linfa; spaziare fra i ruderi di un mondo obliato per sentirne le vestigia. È qua che torna a noi il dantesco Pier della Vigna nel suo essere uomo-albero; è qua che ritroviamo il vate cieco che brancola tra quel che rimane della mitica Ilio facendo un “bouquet dei giorni non trascorsi”, in una “zona franca provvisoria”, tra un viola di ulive greche e una maiolica di Guadalupe, di fronte a un bicchiere di vino di Samos

“sotto la pergola

d’uva sultana”

navigando su una “barca di foglie perse” che tanto ricorda il grande poeta romeno Mihai Eminescu.

E che il vate cieco si chiamasse Omero o che fosse uno dei tanti aedi che si attardarono e si stanziarono alla fine nella penisola salentina, poco importa ai fini di un discorso che ha in gran valore la Poiesis.

Nei versi di Leo Luceri c’è un intimo percorso che ti porta da là a qua, da Paesi lontani alla tua Terra, su una geografia di linguaggi e di passi che percorre “tratturi antichi” (per rubare una voce dannunziana), tra mondi lontani come quello delle Galàpagos e momenti di oggi dove anch’io “pettino il Tempo”. Scomposti messaggi serpeggiano furtivi, con richiami diretti a Bodini, indiretti a Gòngora, a Carmelo Bene, a Eugenio Barba e a Jerzy Grotowski. Forme di semantiche metempsicosi, ritrovate nel griko, attraverso il griko, con il griko, riemergono inattese: tornare alle origini per rivivere le ibridazioni dei linguaggi assaporati da Leo Luceri durante i suoi percorsi professionali all’estero, in Paesi lontani ma sempre vicini nel culto delle tradizioni, nel dramma del vissuto e del conosciuto, nell’anelito del superamento delle costrizioni, verso la costante ricerca del Bello. Un plurilinguismo verso cui l’ha catapultato il suo percorso di lavoro. Un’attitudine che affonda le sue origini nel Salento e che Leo aveva riposto nella sua valigia di Migrante.

Ho conosciuto Leo Luceri a Bratislava, qualche anno fa, nella mia veste di Direttore del locale Istituto Italiano di Cultura e Addetto Culturale dell’Ambasciata d’Italia. Lui, Lettore ufficiale di Letteratura Italiana presso l’Università Komenského di Bratislava, personalità culturale di spicco. E’ stata una simbiosi di linguaggi, di intese spesso sottese, di lunghi percorsi attraverso strade storiche come la Catumerèa di Martano o la Venturska di Bratislava, attraverso i dialetti che costituiscono la naturale liaison di mondi che sono penetrati in noi attraverso la parola, il canto, gli odori, gli umori, gli Amori creando un ideale ponte di dialogo tra il Salento e il meridione d’Italia (attraverso la comune matrice greca) e non solo; tra il Salento e il mondo di ispanica cultura e non solo; ma, soprattutto, tra noi e gli altri.

I dialetti sono veicolo di valori e di cultura. Sono umiltà e grandezza. De André ce lo ha insegnato. Leo Luceri, in modo discreto ma forte, ce lo ha fatto assaporare.

… “Ieu volia me perdu”, che in salentino significa “vorrei perdermi”, oppure… “e il naufragar m’è dolce in questo mare” …

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Leo Luceri

Catumerèa

Versi multllingui a sud del sud 

Musicaos Editore

Euro 13             

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