Nel dicembre del 1985, Ian Thomson prese il treno Roma-Palermo per andare a incontrare lo scrittore siciliano. Per le edizioni Rubbettino esce il libro che racconta quel viaggio e quell’incontro, originariamente pubblicato sul London Magazine nel 1987. Il testo, che appare per la prima volta in italiano, è accompagnato da una breve premessa dell’autore, da una nota della traduttrice Adele Maria Troisi, anglista di Racalmuto, e dalle lettere che Sciascia e Thomson si scambiarono prima e dopo il loro incontro. Il libro inaugura la nuova collana sciasciana, i “Quaderni di Regalpetra”, curata dal nipote dello scrittore Vito Catalano, iniziativa della Fondazione Sciascia
Nel dicembre del 1985, il giornalista Ian Thomson prende il treno Roma-Palermo per andare a incontrare Sciascia: il viaggio, Palermo e il dialogo verranno raccontati in un articolo, pubblicato sul London Magazine, nel 1987. L’anglista e docente di inglese, Adele Maria Troisi, ha tradotto il racconto, a cui si aggiungono la premessa dell’autore, le lettere scambiate fra il giornalista e Sciascia e la nota della traduttrice.
Quando ho finito di leggere «Una conversazione a Palermo con Leonardo Sciascia» mi trovavo in un bar di San Giovanni Gemini, ad attendere il ritorno in classe. A libro chiuso, ho scritto alla traduttrice e curatrice, Adele Troisi, per comunicarle “a caldo” le mie impressioni. Da quel momento è passata qualche settimana e le impressioni si sono raffreddate, consolidandosi in opinioni e pensieri più ragionati. Una cosa, tuttavia non è cambiata: l’idea di aver letto un libro si piccolo, breve, conciso, ma di grande spessore! Un libro che presenta tre grandi virtù: la brevità, la densità delle informazioni, una bella prosa semplice e concisa.
«Una conversazione a Palermo con Leonardo Sciascia» non è una semplice intervista, ma un reportage che accetta di confrontarsi con le possibilità ammesse dal genere, assumendo per un breve tratto anche le caratteristiche del reportage di viaggio: prima di incontrare Sciascia, l’autore racconta il viaggio verso la Sicilia e Palermo, riportando le proprie impressioni sui luoghi visti.
Ma la forma del reportage scelta da Thomson va ancora oltre le possibilità del genere, scivolando con disinvoltura nel campo della critica letteraria: il giornalista dà grande prova di conoscenza dell’autore siciliano, raccontando i modelli narrativi a cui Sciascia si richiama, individuandone, di volta in volta, gli illustri antecedenti; fornisce brevi sintesi delle opere citate, sempre attento a cogliere il filo della tradizione a cui anche la singola opera rimanda.
Tanto i temi universali, quali giustizia e ragione, quanto i più particolari, cioè legati al territorio di Racalmuto, quali la materia delle miniere e degli autori vicini a Sciascia, sono posti in relazione alle opere letterarie del racalmutese e inquadrate all’interno di un discorso letterario e morale più ampio.
Le opere di Sciascia sono, dunque, calate nel contesto della tradizione letteraria di appartenenza e in quello morale e civile a cui si rivolgono: sono sia partenza che centro da cui si irraggiano le vie della conversazione.
Dunque, una conversazione che permette di conoscere l’autore, i contesti – letterario e geografico – delle opere, i libri scritti e i temi più cari e sentiti. Del resto, come si legge nell’introduzione di questa edizione, l’autore spera di aver contribuito alla conoscenza di Sciascia presso il pubblico anglofono, non solo tramite le traduzioni delle opere dello scrittore, ma anche grazie alla diffusione della «Conversazione»: è importante, quindi, tenere conto della destinazione di questo reportage, perché aiuta a capire verso quale lettore ideale sia orientato il testo e, quindi, le ragioni delle scelte stilistiche e tematiche di Thomson.
In questo senso, l’attenzione nel collegare lo scrittore al doppio filo della tradizione tanto siciliana, quanto europea (ma anche americana), sia recente che più antica (il riferimento a Voltaire e agli Enciclopédistes, per esempio) si rivela funzionale a due obiettivi: il primo e più evidente, portare alla luce i legami fra Sciascia e la tradizione di riferimento, utile a comprendere i motivi profondi delle sue opere e le scelte stilistiche; il secondo, mostrare l’ampiezza e la vocazione universale dei temi affrontati da Sciascia. Infatti, rispetto a quest’ultimo punto, sembra che Thomson abbia cura di prevenire possibili fraintendimenti da parte del suo lettore ideale, che potrebbe leggere le opere di Sciascia (s’intende una lettura superficiale) con la lente del pregiudizio e del folklorismo: “Sciascia non è “meno scrittore provinciale” di Faulkner”, scrive Thomson, sfruttando il riferimento a un autore noto e la forza dimostrativa del confronto (Sciascia noto come Faulkner) per dimostrarne l’universalità dei temi e delle opere.
Del resto, a proposito di autori e modelli letterari, è lo stesso Sciascia a dichiarare, in diversi momenti, chi siano i propri padri letterari: così, fra le considerazioni del giornalista e le dichiarazioni dello scrittore, Sciascia è collegato agli illuministi, quindi a Voltaire, ma anche a Edgar Allan Poe, oltre che alla tradizione dei romanzi polizieschi, ma ibridati con il relativismo di Pirandello. In questo notevolissimo elenco di autori, ci imbattiamo in riflessioni di ampio respiro sulla funzione della letteratura in relazione a questioni morali e collettive: «Hugo è sempre stato un autore della massima importanza», dice Sciascia, «vorrei persino spingermi oltre affermando che chiunque ignori l’importanza de I miserabili per la formazione di una coscienza individuale e collettiva di due o tre generazioni ha compreso poco dell’Europa. Ritengo I miserabili un’opera persino più importante di Guerra e Pace come documento sociale e morale. Hugo era uno scrittore naturalmente cristiano, la sua opera ebbe origine dal fatto che egli non era in grado di scoprire attorno a sé alcunché di cristiano. Questo è stato il conflitto di Pirandello, quanto il mio: essere cristiano in un mondo non cristiano. È anche il dramma di ogni scrittore siciliano che ha dentro di sé non lo spirito della Chiesa, ma della religione. Verga, benché appartenesse alla nobiltà terriera e conservatrice, lo possedeva forse più di chiunque altro».
Hugo, «I miserabili», la coscienza morale e collettiva, il problema della fede, ancora il problema della fede ma negli autori siciliani: il passo riportato dimostra l’agilità della conversazione e la profondità delle riflessioni e la varietà dei temi affrontati.
Concluso il testo della «Conversazione», segue la pubblicazione delle lettere dei due autori: la prima porta la data del 6 maggio 1985, l’ultima del 20 giugno del 1987; si tratta, quindi, di lettere che precedono e che seguono la pubblicazione del reportage sul London Magazine: sette brevi epistole che testimoniano, oltre che la prosecuzione del dialogo fra i due autori, anche la passione di Sciascia per l’illustratore Arthur Rackham, del quale Thomson s’impegna a fargli avere una monografia.
Infine, segue la nota della traduttrice e curatrice: fra le affermazioni, quella che colpisce e che ne descrive meglio il lavoro di traduzione: “Ebbene, il mio approccio [n.d.r. alla traduzione] è quello di gustare pezzettini del testo man mano che vado leggendo, riservandomi nuove scoperte a ogni pagina. Sarà perché da golosa adoro tenere il meglio per la fine e preferisco centellinare, assaporare le parole che dal testo originario dell’autore scorrono davanti ai miei occhi, sotto le mie dita, per trasformarle in quel meraviglioso ricamo che è la traduzione”.
Centellinare e assaporare rendono con evidenza la natura del lavoro di traduzione di Adele Maria Troisi, che è riuscita a traghettare la prosa di Ian Thomson in un italiano cristallino e godibile: una conversazione impegnativa e profonda, ma restituita alla nostra lingua con sapiente leggerezza.