Se l’araldica avesse dovuto attribuire uno stemma al quartiere della Palma, avrebbe scelto certamente la torre campanaria della Chiesa del Monte.
Fra i quartieri più significativi di Racalmuto vi è la Palma, detto anche del Monte. Le case accerchiano un Santuario affiancato da un bel campanile costruito per volontà del sacerdote Pietro Signorino, nel 1738. Ecco perché nel rione vi è presenza di una strada dedicata al devoto prelato, appunto via Signorino. Oggi un desolato corridoio di porte chiuse, la stradina attraversa due file di modesti dammusi, dove un tempo vi abitarono artigiani, minatori, capi mastri e azionisti di zolfare.
Un quartiere interessante, non uno dei tanti, stante l’antico e stretto legame dei suoi abitanti con la storia e le tradizioni religiose del paese. Vive Incastrato sul piano di una vallata, fredda d’inverno e afosa d’estate, come egregiamente descritto dal più celebre dei “palmesi”, lo scrittore Leonardo Sciascia.
Chi ricorda la vita che vi scorreva non dimentica la grande solidarietà del vicinato. Mentre chi possedeva la legna da ardere la favoriva a chi ne aveva bisogno; i sarti avevano cura che il filo fosse sempre avvolto al rocchetto della macchina da cucire per vestire i bambini. Gli abiti venivano allestiti utilizzando anche dei residui di stoffe, scampoli che arrivavano nei pacchi spediti dai parenti emigrati in America. Un pedalone di ghisa alla base della macchina cucitrice, la più diffusa era del marchio Singer, regolava la velocità dell’ago. Spinto da un costante movimento della punta del piede, emetteva un ticchettio simile alla sventagliata di un fucile mitragliatore. Un crepitio serrato che si propagava per i cortili, come il battito di un cuore sano, il cuore del paese.
Se l’araldica avesse dovuto attribuire uno stemma al quartiere della Palma, avrebbe scelto certamente la torre campanaria della Chiesa del Monte. Negli anni 50 il campanile venne ristrutturato grazie all’impegno del Sacerdote Salvatore Farrauto. Durante la guerra del 1940-45, nelle vicinanze della chiesa era esplosa una bomba, che sommata alle vibrazioni delle cannonate sparate dagli alleati dalla collina del Serrone, ne aveva compromesso la struttura. Una maestranza specializzata, proveniente da Licata, eseguì il progetto dell’Ingegnere Di Caro, nominato dal Genio Civile di Agrigento, e così alla sommità fu data una sagoma più bombata, a forma di corona. Divenne di fatto il simbolo della sovranità della Madonna, che per i fedeli di Racalmuto è la Regina.
Gli abitanti della Palma vollero che quella corona luccicasse davvero, come fosse tempestata di pietre preziose; dunque contribuirono a renderla splendente attraverso una raccolta di bottiglie. Il vetro ridotto in piccolissimi cocci, venne frantumato e mescolato con l’intonaco che ne coprì il panciuto prospetto. Se pensiamo che in molte case esisteva “la bottiglia”, unica a disposizione della famiglia, se ne intuisce il sacrificio.
Tra le prime case, a ridosso del campanile, vivevano due sorelle. Signorine benestanti, erano fra le più fervide attiviste della Chiesa del Monte. Avevano dei compiti precisi, oltre a tenere vive le voci bianche del coro e in ordine la tovaglia dell’altare, quello di ricamare i paramenti sacri, con una certa maestria. Giovannina aveva un buon orecchio musicale, era una maestra di pianoforte, ma nonostante le sue doti si era guadagnata ugualmente la “ ‘ngiuria” di “Campanara”. Il balcone della sua abitazione si trovava addossato al campanile della Chiesa. Era bastato dunque legare una pertica alle incastellature delle campane per farle rintoccare da casa, direttamente dal proprio balconcino. Così passare dal do-re-mi della tastiera, al din-don-dan delle campane, era un attimo. Al bisogno “le Campanare” abbandonavano l’intono pianoforte, lo spartito del “Petit Montaner”, per passare a noti più squille, scampanando con energia. Giunta l’ora, puntualmente si affacciavano appena per scuotere la cima annodata all’angolo dell’inferriata, ad ormeggio delle campane. Fisicamente minute, le sorelle con una certa energia davano vita a dei fermi rintocchi per annunziare le “Due ore” o l’Ave Maria.
Non vi era Palma senza campane. Lontano dalla sua Racalmuto, il poeta Pedalino Di Rosa rese l’omaggio più alto a quel suono. Quando emigrato in Lombardia, per svolgere il mestiere di Notaio, descrisse la nostalgia provata dal distacco con dei versi superlativi. I rintocchi della campana del Monte, diventano nei versi del Notaio, la voce di una giovane ed allegra fidanzata di vent’anni. Una storia d’amore mai dimenticata, un sentimento muto, distanza che si fa silenzio, struggente ed intimo dolore.