Gaetano Savatteri ricorda in questo pezzo il più longevo corrispondente del Giornale di Sicilia a Racalmuto, che firmò, per quasi trent’anni, le sue corrispondenze dal paese di Sciascia.
Peppino Troisi è stato il primo giornalista che abbia mai incontrato e conosciuto nella mia vita. Ero un ragazzino con il sogno di scrivere su un giornale, mio padre ne parlò con Peppino Troisi – erano amici di vecchia data – lui mi incoraggiò in quel modo gentile e mite che era un tratto del suo carattere. Cominciai a leggere i suoi articoli, le sue corrispondenze da Racalmuto per il “Giornale di Sicilia”..
Era strano: Troisi era una persona perbene, un padre di famiglia, lontano dai furori del giornalismo d’assalto, ma per i miei occhi di ragazzino affascinato dal mondo dei giornali, leggere il suo nome sotto le righe di una cronaca gli attribuiva una grandiosità eroica, la statura di un narratore contemporaneo. Pensavo a quante cose dovesse sapere e conoscere Peppino Troisi e mi chiedevo come facesse a scoprire quelle notizie, a intuire prima di tutti quello che avveniva in paese e a farne storie sul quotidiano di Palermo.
Ricordo Peppino Troisi, col suo passo svelto, la macchina fotografica in mano (ma forse questo è un inganno della memoria), andare da un posto all’altro per scattare un’istantanea a un ospite illustre che passava da Racalmuto, magari per incontrare Leonardo Sciascia. E’ vero che quelli furono anni speciali. La cronaca nera era scarsa, più spesso si parlava di problemi di acqua, di questioni comunali, ma soprattutto si parlava e si scriveva sui giornali di un mondo che stava affiorando: le iniziative della Pro Loco, la riscoperta di tradizioni quasi scomparse, i ritorni di Sciascia in paese in compagnia di qualche attore o regista o politico famoso.
Adesso, dopo tanto tempo, si può dire che Peppino Troisi è stato il simbolo delle tante voci che per molti anni hanno raccontato, da paesi e villaggi della Sicilia, le cronache quotidiane della nostra isola. Impiegati, insegnanti, assicuratori che, in cambio di pochi spiccioli e di un po’ di prestigio, battevano sui tasti delle loro macchine da scrivere, imbucavano i loro fogli delle buste “fuori sacco” che venivano affidate agli autisti degli autobus per far arrivare gli articoli in redazione e davano così uno sprazzo di luce alle vite, altrimenti ignote, di intere comunità.
Decine, centinaia di articoli su fatti apparentemente piccoli – la grande storia capitava di rado, e quando c’era veniva spesso “coperta” dall’inviato mandato dal giornale che scavalcava il corrispondente locale – ma che facevano discutere per giorni. “L’ha scritto il giornale”, si diceva. E quel fatto assumeva rilievo, importanza, dignità. Io leggevo, scrutavo il nome di Peppino Troisi e in cuor mio invidiavo l’amico dei miei genitori che ogni giorno poteva diventare famoso.
Qualche tempo fa, dopo la morte dei miei genitori, ho scoperto però una storia che Peppino Troisi aveva registrato e che era rimasta chiusa nei cassetti. Ho trovato in un armadio una vecchia bobina 8 millimetri spedita da Peppino Troisi ai laboratori Kodak di Milano nel luglio 1963 per lo sviluppo. Cosa ci faceva a casa mia una pellicola di Trosi? Ho cercato qualcuno che avesse ancora un vecchio proiettore. Luci spente, buio, il fascio di luce sul muro bianco. E lì, nei colori sfocati dal tempo, sono apparse tremanti le immagini del matrimonio dei miei genitori. Giovani, sorridenti, emozionati in una giornata di gran caldo nella chiesa Madre di Racalmuto.
Non sapevo nemmeno che esistesse questo breve filmato. Per fortuna c’era buio nella saletta e nessuno ha visto la mia emozione. Dietro la cinepresa c’era Peppino Troisi, da sempre appassionato di film e macchine fotografiche. Mi aveva regalato uno scoop, un inedito rimasto custodito per cinquant’anni. Il filmato era breve, ma girato con attenzione ai dettagli, con il sapore delle cose perdute per sempre.
Grazie Peppino (i giornalisti fra di loro si danno sempre del tu) per questa notizia speciale.