Fondato a Racalmuto nel 1980

A Peppino Impastato

Trucidato il nove maggio 1978, a soli trenta anni, per aver detto No alla mafia

Bia Cusumano

Nessuno ci vendicherà; la nostra pena non ha testimoni”. Questa la chiusa di una breve poesia scritta da Peppino Impastato, presente nel libro Amore Non Ne Avremo a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale, edito da Navarra Editore.

Peppino muore barbaramente ucciso il nove maggio 1978. Quarantacinque anni dopo la sua morte, quelle sue parole continuano ad alitare dentro me. Peppino, figlio coraggioso di una terra feroce e meravigliosa. Peppino trucidato a soli trenta anni per aver detto No alla mafia, alla collusione, alla compiacenza al Sistema, scardinando anche il codice familiare (suo padre Luigi Impastato era capo di un clan mafioso), scardinando e dissentendo. Lo vedo. Lui, con il suo volto asciutto, con i suoi capelli scomposti, con il suo disperato coraggio di giovane uomo siciliano, solo e appassionato, cammina ancora lungo i binari di quella maledetta linea ferrata tra Palermo e Trapani. “Appartiene al suo sorriso l’ansia dell’uomo che muore, al suo sguardo confuso chiede un po’ di attenzione, alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono, vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso; è un uomo che muore”.

E’ quasi profetica questa sua poesia. Sento il respiro affannoso di Peppino mentre viene ripetutamente colpito in quel casolare sperduto nelle campagne sicule, sento quell’abbandono alla morte che giunge, sordida e infame, per mani “amiche”, sotto occhi che lo hanno visto crescere. Figlio della mia terra, barbaramente trucidato per aver gridato senza paura, dalla stazione radiofonica Radio Aut, che la mafia è una montagna di letame. Figlio siculo sceso in piazza per protestare accanto ai braccianti e ai proletari che avevano fame di lavoro e giustizia. Lì, lo vedo ancora giovanissimo, accanto ad un altro grande uomo della nostra Sicilia, Danilo Dolci.

Peppino, figlio di una terra che urla il suo dissenso e il suo straziante bisogno di cambiamento. Protestare, affinché i potenti della Mafia e delle Istituzioni possano sentire. Quelle Istituzioni che solo dopo una lunghissima ed estenuante vicenda giudiziaria, durata ben 24 anni, giungono alla sentenza di condanna definitiva dei mafiosi Vito Palazzolo e Gaetano Badalamenti come mandanti della sua uccisione. Ovvero Peppino ucciso barbaramente nel 1978, solo nel 2002 ha avuto non vendetta ma giustizia. Ma, scherno di un Sistema colluso ha dovuto subire l’infame depistaggio sulla sua morte.

Sì, Peppino resta una ferita mortale inferta nella nostra Sicilia. Una ferita che però negli anni è divenuta feritoia attraverso cui è passata tutta la sua tenacia, la sua forza, la sua passione, il suo coraggio, la sua resistenza ad oltranza, il suo non piegare mai la testa. Questa ferita che non ha margini di ricucita perché nessuno ha potuto restituire Peppino a sua madre Felicia, a suo fratello Giovanni, ai suoi nipoti, né a nessuno di noi, è e resta una ferita non mortifera ma germinativa. Lì in quella ferita ci sono semi di Bellezza che sono esplosi non più in brandelli di carne ma in fiori di campo, in speranze, sogni, progetti, idee che muovono teste e cuori di infinite persone. “Fiore di campo muore sciogliendo sulla terra gli umori segreti”.

E’ Peppino questo fiore di campo che muore per ogni figlio di questa terra di Sicilia ma la sua morte lascia umori segreti in ogni zolla arsa dallo scirocco e dalla salsedine. Nella nostra Sicilia, il suo sacrificio è divenuto “umore segreto”, liquido seminale di vita nuova. E così se i suoi occhi “giacciono in fondo al mare delle alghe e dei coralli”, i nostri guardano dritti i suoi, come bussola di un viaggio senza via di ritorno. Non si torna indietro dalla Verità e dal Coraggio. La Verità è un sigillo, un marchio a fuoco impresso. E’ un sentiero solitario spesso, doloroso, sempre faticoso e irto di dirupi, tra vortici di gogne e reti, tagliole feroci e ben nascoste che ti sfregiano e tagliuzzano la vita ma mai la dignità se hai scelto da che parte stare. Se hai scelto a chi appartenere. Se hai scelto, senza orpelli e finta retorica. Peppino ha scelto. Lo ha fatto fin da bambino, ha scelto da uomo finché glielo hanno permesso, fino a quella notte torbida e maledetta. Ha scelto e la sua scelta è stata così forte e incontrovertibile, così autentica e appassionata che dopo quarantacinque anni dalla sua morte, noi tutti siamo qua a rendergli omaggio, con i nostri pensieri e le nostre parole. Peppino ha scelto, ora tocca a noi. E in quel titolo meraviglioso e struggente, Amore Non Ne Avremo, acronimo di un nome di donna, A. N. N. A, chiunque questa donna sia stata o sia, mi piace pensare da scrittrice che quella donna sia la nostra Trinacria, la nostra Sicilia che oggi, a quarantacinque anni dalla morte di Peppino, gli porga attraverso le mie parole, un bacio di riconoscenza e gratitudine, di amore profondo e dolcissimo e gli sussurri: “Amore Noi Ne Avremo. Tu, Peppino, ne avrai”.

 

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