Ultimo mese di scuola, la Prof racconta…
C’è una parte dell’anno scolastico che è particolarmente ricca di impegni, di scadenze, di incombenze e di impudenze. Si chiama “ultimo mese di scuola”. È un periodo piuttosto turbolento, giusto per usare un inoffensivo eufemismo, che docenti e studenti vivono con gradi di esaurimento nervoso di diversa entità.
I primi devono, nell’ordine, completare i programmi, che tanto non riescono mai a completare, decifrare verifiche scritte, che tanto non riescono mai a decifrare, espletare verifiche orali, facendosi ciechi, muti e sordi. E ancora, preparare documentazioni, relazioni, verbalizzazioni, crocifissioni e assoluzioni. Infine, in sede di scrutinio finale, essere disponibili ad attuare miracolose resurrezioni.
I secondi vagano per i corridoi gementi e piangenti, perché nella maggior parte dei casi hanno fatto come la cicala. Hanno cantato per tutto l’anno invece di procurarsi, briciola dopo briciola, verifica dopo verifica, il lasciapassare per l’anno scolastico successivo.
“Prof, ma lei fino a quando interroga?”
“Fino alla fine dei tempi”.
E si fanno interrogare alle 13,55 del 9 giugno.
“Prof, ma mi lascia il debito?”
“È assai probabile”.
“E se le ripeto tutto il programma?”
Mutismo e rassegnazione.
Tanto per il prossimo anno ho già prenotato una suite extralusso in un eremo solitario del Gennargentu.
Non mi troveranno mai.