Fondato a Racalmuto nel 1980

“Il piacere delle vocali e delle consonanti”

Libri. “La vita è un alfabeto”, di Giuseppe Maurizio Piscopo, la recensione di Beniamino Biondi 

Leggendo il libro di Giuseppe Maurizio Piscopo mi è subito venuto alla mente, con la felicità dei ricordi, un film di Francois Truffaut – forse il suo più bello – dal titolo “Gli anni in tasca”. È una storia di bambini – e chi meglio di Truffaut, con la sua infanzia infelice, avrebbe potuto farlo? -: sornioni, dinoccolati, allegri, candidamente impertinenti, o chiusi, impoveriti, depredati del loro tempo di favola.

Il film racconta l’anarchia dell’infanzia, secondo il regista, quella felicità che non ha bisogno di leggi perché è legge essa stessa che si emenda e declina nella crescita, elidendo a sua insaputa la tenerezza dello stupore. Su molte cose Maurizio Piscopo deve pensarla come Truffaut, con lo stesso sentimento di leggerezza che ha presente il dolore. Quelli erano gli anni dell’impegno e della scoperta della “Pedagogia degli oppressi” di Paulo Freire; oggi molte cose sono dimenticate, e tra queste l’idea che la pedagogia sia l’unica disciplina veramente rivoluzionaria. Si è finito per dimenticarlo, relegando il concetto alle banalità della didattica, alle istruzioni per l’uso, alla burocrazia. L’educazione è diventata trasparenza amministrativa, cioè nulla.

Maurizio Piscopo s’inorgoglisce – a ragione – d’essere stato un maestro; d’esserlo, ancora oggi, al di là della sua collocazione a riposo; ed è uomo di letture ampie e di riflessioni acute che trovano la sua giustificazione nell’assenza di alibi che muove proprio l’infanzia. La gioia, dicevo, che non nasconde la percezione del dolore, come correttivo al disincanto del mondo. Ed è per questo che il più grande scrittore dell’Ottocento, Charles Dickens, non a caso abbia sempre scritto dei bambini, perché pur con la sopravvenuta ricchezza che gli diedero i suoi libri non perse mai quel fondo di malinconia greve della sua infanzia, quando fu costretto a vendere i propri libri per sfamare la famiglia finendo per lavorare in una miserabile bicocca sul greto del Tamigi applicando luride etichette su flaconi di lucido per scarpe. Quel freddo, quello spazio angusto e maleodorante, la brutalità dei rapporti umani, Dickens non potè mai più dimenticarli.

Col suo libro Maurizio Piscopo restituisce un debito al dolore di quel bambino, e con lui di tutti coloro i quali soffrono per non potere imparare, cioè per non potersi emancipare dalle secche mediocri dell’esistenza in favore degli orizzonti dell’immaginario e delle architetture utopiche dell’esistenza. E lo fa in modo delizioso, con un vero e proprio abbecedario che raccoglie al piacere delle vocali e delle consonanti concetti, memorie, suggestioni e prassi.

C come circo. Illustrazione di Tiziana Viola-Massa

La conoscenza diventa così uno strumento – antico, come l’opera di un artigiano che guida col cervello le mani – per decifrare la diversità quale esemplare dello stare al mondo, di un’appartenere quale luogo di umanità possibile; e lo scrittore, col passo lieve che non mortifica il bambino ma lo accompagna con la semplicità delle grandi cose, racconta la sua storia di fondazione della civiltà, il momento in cui si intraprendono le direzioni della crescita. Nulla di consolatorio o di edificante, nessuna retorica agiografica sul ruolo del “maestro”, ché anzi Piscopo è ammirevole per l’assenza di ogni vanità e di autocompiacimento.

Il senso di questo libro, che si avvale della prefazione di Salvatore Ferlita e delle illustrazioni di Tiziana Viola-Massa, è tutto in questo approccio solidale e maieutico, ponendo i suoi contenuti a forme di dialettica semplice ma efficace per cui lo stesso insegnamento diventa acquisizione di processi perduti, di atti intellettivi che l’età adulta ha sconfitto sugli altari di una pirandelliana “corda civile”, messe a tacere le smorfie curiose dell’infanzia. Ed è lì che Piscopo trova se stesso e la sua vocazione laica alla scuola, mentre il lettore si avvinghia alle sue pagine con precipitosa allegrezza un senso composto di gratitudine.

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