È una questione di sopravvivenza poetica
Sono giorni di caldo rovente, di temperature apocalittiche, di inferno dantesco, di draghi che sorvolano i nostri cieli sputando lingue di fuoco. Sono giorni in cui ci sentiamo come immersi nella friggitrice del Macdonald, incapaci finanche di alzare un braccio, spossati, esanimi, intenti a bere soluzioni di magnesio, a ingurgitare frullati di potassio, a masticare macedonie di vitamine, a iniettarci ettolitri di sali minerali.
Ecco, in questi giorni io ho maturato un desiderio inconfessabile, insostenibile, ineguagliabile. Un desiderio che so già mi porterà derisione, compassione, pietà e anche una richiesta di interdizione per infermità mentale. Insomma, io voglio che torni subito l’autunno. Voglio andare a scuola, spiegare, interrogare, sottolineare, verbalizzare, terrorizzare. Voglio guardare le foglie cadere dagli alberi, la pioggerellina bagnare i vetri, i passanti stringersi nei giubbottini, il sole far capolino tra nuvolette grigie. Voglio vedere tutto questo e farne poesia. Il sudore mi imperla la fronte, mi inaridisce gli occhi, mi affanna il respiro e mi impedisce di fare poesia. Mi si blocca la rima, mi si spegne l’endecasillabo.
Io voglio l’autunno.
È una questione di sopravvivenza poetica