Fondato a Racalmuto nel 1980

Luigi Matteliano, cantore di Regalpetra

IL RICORDO Un mese fa la scomparsa di uno dei fondatori di gruppi folkloristici di Racalmuto. Con “Biddrizzi, sali e surfaru” trasmise a molti giovani la ricchezza delle tradizioni popolari del suo paese. Portò in scena, tra gli anni ‘80 e ‘90, i drammi della sua terra: le storie dei minatori, i viaggi degli emigrati e la vita nei cortili

Incarnava la sua terra dentro di sé: le bellezze, il sale e lo zolfo. La sua risata era inconfondibile e anche i suoi movimenti. La sigaretta nelle sue mani danzava. E inconfondibile era il suo tono di voce, la parlata antica lo rendeva siciliano fino al midollo. Racalmutese fino al midollo. La sua passione e il suo amore per il teatro e la musica e le tradizioni popolari hanno fatto di lui quasi un personaggio. Perché lo era davvero: di quelli, cioè, che hanno l’arte nelle vene e sanno trasmetterla agli altri senza far rumore, senza cercare passerelle a tutti i costi, il cui unico scopo è quello di essere se stessi sempre nel grande palcoscenico della vita.

Un mese fa se ne è andato, a 74 anni, Luigi Matteliano che per più di un ventennio, tra la metà degli anni Settanta e i primi del Duemila, ha animato a Racalmuto diversi gruppi di ragazze e ragazzi.

I giornali iniziarono a parlare di lui nel 1975 quando con Luciano Polifemo fondò il gruppo folkloristico I cantori di Regalpetra. Forse per la prima volta il nome inventato da Sciascia per raccontare Racalmuto veniva utilizzato dai suoi concittadini. Segno di visione culturale se pensiamo che il libro Le parrocchie di Regalpetra era stato pubblicato solo vent’anni prima. E nella primavera del ‘75 – in un paese in cui tutto iniziava a fermentare – Matteliano seppe coinvolgere una quarantina di giovani che si distinsero non solo a Racalmuto, ma in tanti centri della provincia.

Da Regalpetra a Racalmuto è un passo. Biddrizzi, sali e surfaru è il nome che scelse con i suoi compagni di viaggio per il nuovo gruppo che costituì con altri giovani.

Siamo nei gloriosi anni Ottanta. Il paese scoppiava di entusiasmo, noi ragazzini crescevamo immersi in un piccolo mondo dove c’era tutto. Non c’erano né teatri né castelli né musei né fondazioni, ma c’era il paese vivo con le sue compagnie teatrali, le bande, i gruppi folkloristici, le squadre di calcio e di tennis, le radio e i giornali, sagrestie e oratori sempre aperti, circoli e piazze mai vuote. E Luigi Matteliano era uno dei tanti protagonisti di quel mondo.

Era un trascinatore e anno dopo anno la musica popolare non gli bastò. Aveva il teatro dentro, era un filodrammatico. I ragazzi del suo gruppo folk passarono anche alle scene. Quando recitava le cose che scriveva riempiva tutto il vecchio cinema e le piazze e gli spalti del vecchio campo sportivo.

Luigi Matteliano, al centro, in una scena di “Lu surfararu”

Memorabile l’interpretazione di “Lu surfararu, racconto teatrale dell’epopea dello zolfo vista dal dolore del popolo le cui oscure gallerie rappresentavano solo sangue e miseria. E ancora “L’emigranti”, altro dramma della povera gente, il sogno di chi non riusciva a trovare lavoro e la disperazione delle mamme che non rivedevano più i loro figli. E “Li mali lingui”, altro suo testo di successo nel quale realtà e finzione diventavano un tutt’uno. Luigi Matteliano riusciva a portare sul palco la vita nelle strade, nei cortili, nelle campagne: la voce del popolo contro la politica e la spartizione dei posti pubblici, le strade con le buche, sindaci, monsignori, marescialli erano il bersaglio della sua ironia. E la gente si divertiva, il pubblico rideva: si riconosceva in quegli attori dilettanti quasi dentro un gioco di specchi.

“A lu Raffu e Saracinu. Storii di carrittera e lavannera”. Racalmuto, fontana Novi cannola 1987 (Foto da Blog Archivio e Pensamenti)

Il teatro è vita, disse qualcuno. E Luigi intuì che quello era il periodo in cui si poteva ridere anche raccontando se stessi, nel bene e nel male. Questo siamo, diceva sempre. E diede il massimo nelle grandi e movimentate rappresentazioni paesane. Come la rievocazione, prima nel 1987 e poi nell’88, di quando si andava all’acqua nelle fontane con “A lu Raffu e Saracinu. Storii di carrittera e lavannera” (realizzata in occasione della Festa del Monte dalla compagnia teatrale “Biddrizzi, sali e surfaru” da un’idea di Piero Carbone e con musiche e canti curati da Francesco Macaluso), o nei Presepi viventi che Matteliano, sempre assieme a tanti altri, organizzò negli anni Novanta in piazza Castello.

C’erano due gruppi folk in quegli anni a Racalmuto (e ci piace ricordare in quest’occasione anche Decimo Sardo, altra anima del folklore racalmutese). Si respirava l’aria della sana competizione. E così Luigi Matteliano riuscì a far varcare i confini regionali al suo gruppo andando ad Hamilton la prima volta nel 1989. Portò tra i racalmutesi d’oltreoceano i canti della tradizione popolare e il “suo” teatro. Riuscì a far piangere e a far ridere migliaia di concittadini che non erano più tornati nella loro terra d’origine. Ad Hamilton, infatti, Luigi Matteliano era molto amato.

Il gruppo “Biddrizzi, sali e surfaru” nel 1999

Con una nuova generazione di ragazze e ragazzi tornò in Canada nel 1996 e ancora nel giugno del 1999 dove per la prima volta portò in scena, in un palco che si affacciava sul lago Ontario, la recita della “Vinuta di la Madonna di lu Munti”. E ricordo ancora l’inverno fra il ‘98 e il ‘99, quelle sere cariche di freddo durante il quale, in un magazzino che trasformò in laboratorio, molti iniziarono a muovere i primi passi. E le prove della “Recita”, un mese prima della rappresentazione, tra Garamoli e contrada Cometi, spazi all’aperto che diventarono palcoscenico. E lui, regista raffinato, tra una sigaretta e l’altra, indicava i passi, i movimenti, gli sguardi. E pensava anche ad allestire i costumi, ago e filo e gambe accavallate.

Ad Hamilton, in Canada

Ecco, Luigi Matteliano – che ha lasciato questo pianeta un mese fa – era tutto questo. E tanto altro, naturalmente: marito, padre, nonno e fratello affettuoso.

Si dannava quando vedeva che le cose non andavano bene nel suo paese e in Sicilia. Avrebbe voluto esternare la sua rabbia civile con l’arte. Ma la vita va come deve andare. Nei primi anni Duemila il suo gruppo folk si fermò.

Ogni tanto riguardava vecchi filmati e foto del suo archivio e si compiaceva. Come avrebbe fatto oggi leggendo queste righe e i versi che il nipote, Vincenzo Castronovo, gli ha dedicato: «Na cosa capivu di lu to ‘nsignari/ni sta vita sa va amari e pirdunari/picchì la morti si porta tutti i mali/ lassammu sulu Biddrizzi, surfaru e sali».

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