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Quando la Sicilia entrò nel Cuore di De Amicis

Magnificenza e miseria: il viaggio in treno nell’isola di Edmomdo De Amicis. Da Messina a Palermo, e poi Catania, Siracusa e Taormina. Era il 1906…

Fusti di Fichi d’India (foto Salvatore Picone). Nel riquadro, ritratto di Edmondo De Amicis

La giornata era bellissima. Di quelle siciliane che anche in autunno sanno dare il meglio, fascino e potente luce. Edmondo De Amicis, l’autore dell’amato libro Cuore, ne rimane «abbagliato e incantato» in quel suo primo giorno di viaggio in Sicilia che fece nel 1906, due anni prima di morire. Ammaliato dal mare e dai paesaggi lungo il «florido versante Jonico» durante il tragitto che da Messina lo porterà a Palermo: «E fuggono accanto al treno i boschetti d’aranci, le siepi di fichi d’India, le spalliere di àloi, i gruppi di palme, tutte le varietà di piante di tutte le terre italiche, accarezzate e mosse da un’aria imbalsamata che vi desta nel sangue e nell’anima un sentimento delizioso della vita».

Prima tappa del suo tour siciliano «la bella Messina, privilegiata d’una delle più favorevoli situazioni geografiche del mondo… luminosa, attraente ed amabile». E diventa inconsapevolmente – nelle descrizioni romantiche e affettuose che fissa nelle pagine del suo ultimo diario Ricordi d’un viaggio in Sicilia pubblicato a Catania nel 1908 – testimone e cantore di quel che Messina era prima del terremoto che proprio quell’anno fece tremare la notte, per dirla con la scrittrice Nadia Terranova.

De Amicis osserva i messinesi la cui indole isolana, secondo lo scrittore ligure, «appare in certo modo ammorbidita e levigata… il loro stesso dialetto è più largamente mescolato di vocaboli e di forme importate e meno sicilianamente accentuato che il dialetto delle altre popolazioni della isola».

Scorcio di Palermo fotografato da Angelo Pitrone

Ma ecco Palermo «con i nuovi quartieri eleganti, le nuove vaste piazze alberate, i nuovi magnifici passeggi pubblici, veri luoghi di delizie, degni di Parigi e di Londra… e la sua bellezza più caratteristica è sempre quel centro, quella piazzetta ottagonale dei Quattro Cantoni».

In quei primi del ‘900 la città conta, secondo De Amicis, due milioni di abitanti che «corrono da un capo all’altro e dalla mattina alla sera… carrozze, carri, carrette che continuamente serpeggiano per non urtarsi, che in mille punti s’intrecciano e si confondono, s’arrestano, s’addensano, ondeggiano; è un formicolìo che vi confonde la vista, uno strepito che v’introna la testa, un contrasto di allegrezza e di furia, di fatica e di spasso, di lusso e di povertà, quale in nessun’altra città del mondo credo che si possa vedere. Ma è tutta uno spettacolo di violenti contrasti questa stupenda e strana Città dei Vespri e di Santa Rosalia». Il Foro Italico, l’Albergheria, palazzo Pretorio con la sua piazza, il teatro Massimo «di cui fu decretata la costruzione – scrive De Amicis – quando Palermo non aveva ancora un ospedale che rispondesse ai suoi più stretti bisogni».

Magnificenza e miseria, prospera e potente città che non  sempre risponde a realtà per l’autore che a trent’anni aveva già scritto dei suoi viaggi in Spagna, a Londra, in Marocco. E che a Palermo colse pesanti contraddizioni: «Il popolo è povero e vive con una frugalità anacoretica; una vera borghesia industriale non esiste; l’aristocrazia ricca è assai scarsa. Un’apparenza di splendore dà alla città la passione del lusso. Ed è da notarsi pure un vivo amore di tutte le classi per la vita esteriore, per le passeggiate, per le feste, per i ritrovi pubblici d’ogni genere».

Nella sua permanenza a Palermo non dimentica di visitare i luoghi garibaldini, ma soprattutto di cogliere l’animo dei palermitani, così come fece a Messina: «Buon popolo veramente, che può avere molti difetti, ma che possiede in grado eminente la virtù gentile della gratitudine». E ancora: «Strano è che gli si attribuiscono universalmente dei difetti che sono per l’appunto l’opposto di certe sue qualità; cioè di essere troppo verbosamente e chiassosamente espansivo, mentre è piuttosto chiuso e taciturno; di essere poco tenero della famiglia, mentre è caso raro che compia una vendetta a sangue freddo… Certo, è geloso, ma perché ama con ardore veemente; è astuto, ma perché fu oppresso per secoli da un nemico – il feudalismo – contro il quale l’astuzia era un’arma necessaria alla difesa della vita e della coscienza…in compenso dei difetti ha tutte le qualità che non si possono sostituire: il cuore, l’entusiasmo, l’intelligenza viva e pronta, lo spirito generoso e poetico». Il viaggio da Palermo a Catania, sempre in treno, si presenta per De Amicis triste e solitario. Attraversa il latifondo, le valli dello zolfo. Fino a quando il suo sguardo non posa sulla punta bianca dell’Etna.

Ed ecco Catania, l’incontro con il poeta Mario Rapisardi, l’elogio a Vincenzo Bellini, le passeggiate nelle «strade diritte lunghissime», il giro della ferrovia Circumetnea «il viaggio circolare più incantevole che si possa fare in sette ora sulla faccia della terra».

«Chi la vede per la prima volta in una giornata serena non si può capacitare che in una città così splendidamente lieta possano infuriare tante tempestose passioni di parte, combattersi tante accanite battaglie politiche», chiosa il grande letterato. Da Catania a Ortigia, l’incontro con i siracusani che hanno «fama d’essere la più mite e gentile popolazione dell’isola». E poi Taormina «sospesa nell’azzurro» con quei scorci belli di notte: come il nome, i colori e i profumi di quel piccolo fiore che s’irradia nelle campagne siciliane.

da “la Repubblica” (Palermo) del 6 settembre 2023

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