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I migranti e la questione linguistica in Italia

La conoscenza della lingua investe l’identità stessa del migrante e lo sviluppo del paese.

Alessandro Tedesco

La crescita demografica della cittadinanza straniera in special modo di persone provenienti da paesi extraeuropei in cerca di lavoro e di una vita nel nostro paese, richiede alle istituzioni una risposta ai bisogni di sviluppo linguistico e di integrazione sociale di circa 6 milioni di persone. L’apprendimento della lingua del paese ospite ha un ruolo determinante nel processo di integrazione della popolazione immigrata a partire dall’inserimento lavorativo e quindi sociale. La questione linguistica tra i migranti in Italia spesso sottovalutata, risulta oggi il problema principale che la politica dell’accoglienza deve risolvere nel nostro paese, per svariate ragioni, che vanno dalla questione sicurezza alla decrescita demografica fino a quelle economiche.

La necessità di accogliere e integrare un numero sempre maggiore di parlanti lingue differenti all’interno della società italiana, che ancora si percepisce come una popolazione nativa monolingua, ha dato luogo all’implementazione di un plurilinguismo forzatamente indotto dai flussi migratori. Manca così in Italia un approccio istituzionale maturo e coerente con le necessità degli apprendenti la lingua italiana.

L’italiano L2, cioè “italiano lingua seconda”, rappresenta la materia di insegnamento erogata nei corsi di lingua agli stranieri, molto diversa da quella dal l’italiano insegnato nelle scuole pubbliche ai nostri ragazzi madrelingua, tanto nei contenuti quanto, e soprattutto, nell’approccio didattico nei confronti dei parlanti la lingua straniera. Sebbene i corsi di lingua italiana per stranieri siano entrati a far parte del sistema di integrazione dei richiedenti asilo, solo una parte decisamente minoritaria di essi (uno su mille circa) è oggi in grado di esprimersi in maniera sufficientemente adeguata con la lingua italiana. L’apprendimento dell’italiano per i rifugiati e richiedenti asilo è avvenuto per la quasi totalità soprattutto sul campo, attraverso l’uso della lingua nei contesti lavorativi e di socializzazione, mentre abbastanza limitato è stato il contributo della scuola.

Per tutti i minori stranieri, soli o accompagnati, presenti sul territorio italiano, corre l’obbligo scolastico e formativo in egual misura che per i cittadini italiani; per gli adulti, invece, la frequenza dei corsi di italiano L2, che siano pubblici presso i CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) o interni ai centri accoglienza, non è obbligatoria: il Servizio Centrale (ufficio di riferimento del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati istituito dal ministero dell’Interno) riconosce il valore imprescindibile della conoscenza della lingua italiana come requisito indispensabile per l’integrazione e la crescita sociale ma agli ospiti dei centri si richiede solo una “presa di coscienza”.

Questa presa di coscienza nei confronti dell’apprendimento della lingua del paese ospitante in effetti non avviene. Viene invece percepita dai richiedenti asilo la necessità di procurarsi un titolo di studio o semplicemente la frequenza di un corso di lingua che ne confermi le intenzioni di integrazione, e utile alla Commissione Territoriale o al giudice del Tribunale per confermare il rinnovo o il rilascio del Permesso di Soggiorno.

I corsi di alfabetizzazione sono stati istituiti solo di recente con dpr 263 del 29/10/2012 e i CPIA hanno un ruolo centrale nell’integrazione linguistica e sociale nel settore dell’accoglienza. I corsi di italiano L2 erogati dai Centri Provinciali per l’Insegnamento agli Adulti sono sostanzialmente due: “alfabetizzazione”, al cui termine viene rilasciato un attestato di alfabetizzazione (livello A2 del QCER, Quadro Comune Europeo di Riferimento delle lingue, utile per soddisfare le necessità della sfera personale), e il corso successivo di “I Livello” (livello B2 del QCER), che consente invece di ottenere un diploma equiparato alla licenza media inferiore.

Se pure l’istituzione dei percorsi italiano L2 abbia avuto un ruolo fondamentale per le politiche educative e linguistiche italiane degli immigrati, i limiti della normativa hanno avuto delle ricadute negative sull’offerta formativa dei CPIA. Non può essere ignorato come il decreto del 2012 abbia stabilito due grandi limiti: aver circoscritto le attività dei corsi ai soli livelli A1/A2 (alfabetizzazione) del QCER e non aver dato nessuna indicazione sulla formazione e la selezione dei docenti.

L’aspetto che accomuna tutti i CPIA del territorio nazionale è che i docenti dei percorsi di alfabetizzazione sono prevalentemente insegnanti della scuola primaria, ai quali si aggiungono i docenti della scuola secondaria che dovrebbero lavorare nei percorsi di I livello. Vi sono poi le differenze riguardanti il coinvolgimento dei docenti abilitati italiano L2 (classe A23): in molti casi assenti in quanto non assegnati al CPIA e in altri non impiegati per scelta del dirigente. Le diverse modalità secondo cui l’organico è reclutato nei CPIA sono la diretta conseguenza dell’assenza di indicazioni nazionali. Queste hanno avuto le ricadute più evidenti negli anni in cui la richiesta di corsi di italiano L2 è drammaticamente aumentata costringendo i CPIA a coinvolgere docenti in servizio che non hanno alcuna esperienza nell’insegnamento dell’italiano L2.

Il paradosso si realizza nella divergenza tra regole del sistema accoglienza (manuale di gestione del SAI) e della scuola pubblica laddove nella rete SAI è invece imposta ai docenti di lingua la certificazione per l’insegnamento dell’italiano L2.

Durante un confronto con il professor Lorenzo Rocca, chair del LAMI (Language Assessment Migration and Integration) ed esperto linguistico del Consiglio d’Europa, si conveniva che tutto il sistema scolastico italiano dovrebbe essere riformato in maniera capillare, in quanto assolutamente incapace di adattarsi al contesto attuale di una realtà multiculturale.

Sistema che determina un livellamento verso il basso della preparazione dei discenti, così che terminano il percorso di studi senza ottenere le abilità linguistiche richieste dalle direttive e individuate dai livelli del QCER.

L’apprendimento in altri paesi europei segue regole ben diverse: all’immigrato che effettua l’ingresso in Francia gli è imposta la frequenza di un corso di formazione linguistica ed educazione civica: durata di seicento ore e retribuzione mensile di 500 euro. Così come in Germania: obbligo di frequenza con retribuzione di un corso di lingua tedesca a un livello B1 del QCER.

Succede così che la stragrande maggioranza degli immigrati presenti nel nostro paese ha appreso qualcosa come il pidgin dell’immigrato italiano. Le eccezioni sono poche, e si trovano quando già a monte c’è una preparazione scolastica elevata e predisposizione all’apprendimento, una motivazione particolare. Nell’affrontare il fenomeno dell’immigrazione nel suo aspetto complessivo, dovrebbe essere posta in Italia la centralità della questione linguistica e la necessità di inserire l’analisi dell’integrazione linguistica nel quadro dei processi di integrazione della popolazione immigrata.

Ritengo che il criterio di intervento del legislatore dovrebbe assumere come prioritaria un’analisi dei bisogni linguistici dei migranti, che rivelano una complessità che va oltre le esigenze comunicative quotidiane più pratiche. La conoscenza della lingua investe l’identità stessa del migrante.

La didattica dell’italiano nel contatto interculturale impone quindi un altro e diversificato approccio che esige competenze specifiche a monte e regole a valle. Una politica non dell’emergenza ma che proponga soluzioni strutturali non può non pensare all’apprendimento della lingua italiana come una delle condizioni necessarie e centrali del sistema accoglienza per la realizzazione di quella integrazione, o meglio interazione, dei migranti per una crescita davvero multiculturale del nostro paese

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Fonti:

PLURIMI – Consiglio Nazionale delle Ricerche

I. Deiana – Università per Stranieri di Perugia

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Alessandro Tedesco, giornalista pubblicista. Tra le sue pubblicazioni: il volume Alla ricerca del pubblico giovane dei teatri (ed.  Emilia Romagna 1997), Mountain bike in Sicilia (2017 ed. Verticali) e Il Viaggio di Mouktar (2021 ed. Meltemi).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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