Fondato a Racalmuto nel 1980

Peppe Butera, l’artista di Comitini che conquistò il mondo

Una storia affascinante quella di Peppe Butera, che, se non fosse incredibilmente vera, avrebbe tutto il sapore di una favola. Una storia che Gaetano Savatteri ha raccontato nel suo libro “Strani Nostrani. Storie di siciliani fuori dal comune” e che oggi vi riproponiamo per ricordare un artista che ha vissuto e amato intensamente l’arte e la vita.

Peppe Butera
Peppe Butera

A Comitini, tra le case e le strade del piccolo paese della provincia di Agrigento, tutti si interrogavano sulle misteriose sparizioni del postino. Dove andava? Cosa faceva? E di chi era la voce soave che arrivava dalla sua casa? Dietro il mistero si annidava una realtà apparentemente semplice, eppure capace di cambiare per sempre la vita del postino. Dentro di lui si agitava una forza irresistibile, qualcosa in grado di spingerlo in giro per il mondo per inseguire un sogno. Ecco la storia vera di Giuseppe Butera.

C’era una volta…un postino. Se è vero che questa è una favola, allora tanto vale raccontarla così. Quindi: c’era una volta…un postino. Era un ragazzone di Comitini, grande e grosso, con la faccia buona, la voce tonante, gli entusiasmi accesi e una passione segreta. Si chiamava Peppebutera – in realtà il suo vero nome era Giuseppe Butera, ma tutti lo chiamavano Peppebutera.

Dunque, Peppebutera quando diventò grande fu costretto a scegliersi un lavoro. Finì alle poste di Agrigento, come tanti suoi conterranei. Peppebutera caricava e scaricava i furgoni delle poste. Ogni giorno si metteva sulle spalle sacchi pieni di raccomandate, cartoline, lettere d’amore, notifiche esattoriali, conti di avvocati, giornali porno, lettere a babbonatale, messaggi minatori, richieste di estorsione. Ogni giorno, dalle sue spalle passava tutta la corrispondenza tra la provincia di Agrigento e il resto del mondo, tra il mondo e la provincia di Agrigento.

Era felice Peppebutera? Forse sì, forse no. La mattina partiva dal suo paesello, arrivava ad Agrigento, lavorava, tornava a casa da mamma e papà, mangiava con appetito, riposava un poco, usciva a prendere un caffè. A volte, però, Peppebutera spariva. Dove spariva? Non lo sapeva quasi nessuno. Spariva così, nel nulla. Prendeva la statale tra Agrigento e Palermo e poi d’improvviso, poco prima di una galleria, spariva nella campagna. Qualcuno che si provò a seguirlo restò interdetto. Come faceva a scomparire Peppebutera? E dove finiva quando spariva?

A Comitini dicevano che aveva poteri magici. Altri sostenevano che cercava di buttarsi nel fiume Platani. Qualcuno provò a immaginare una storia d’amore con una fata. Poi, un ragazzino che faceva il pastore portò una sera una notizia sconvolgente: Peppebutera si chiudeva nella sua casetta di campagna di Muxarello, stretta fra la statale e la linea ferrata, da dove si arrivava per una trazzera piccola piccola che nessuno riusciva a vedere. E cosa faceva Peppebutera in quella casetta? Mah. Chissà. Il pastorello aveva sentito musica, una voce meravigliosa di donna, gli urlacci di Peppebutera. Vai a sapere cosa succedeva in quella casetta di campagna.

Ormai messi sull’avviso, gli sfaccendati di Comitini andarono a spiare da dietro le finestre. E’ vero: c’era una musica bellissima, una voce suadente – il più colto del gruppo disse che forse era la voce di Maria Callas, un soprano famoso di tanto tempo fa – e c’era Peppebutera tutto imbrattato di vernice che tirava pennellate sulle tele bianche come un ossesso indemoniato. Dopo avere visto queste scene, gli sfaccendati di Comitini persero ogni interesse: Peppebutera era uno dei tanti pazzi che in Sicilia si sentono artisti. Ce ne sono che si sentono poeti, ce ne sono che si sentono scrittori, ce ne sono che si sentono musicisti e ce ne sono pure che si sentono pittori. D’altra parte, uno il tempo suo lo butta via come vuole. E Peppebutera lo gettava via facendo quadri che non si capiva niente, manco a guardali da sotto in su.

Da quel momento, come potrete immaginare, nessuno si occupò più di Peppebutera, né delle sue misteriose sparizioni. Il caso di Peppebutera non portava a niente e gli sfaccendati di Comitini si dedicarono ad altre storie e ad altri intrighi, ché sempre ce ne sono in ogni paese, piccolo o grande che sia. Peppebutera non se ne curò. Anzi continuò a dipingere, a dipingere e a dipingere. Al mattino postino, alla sera pittore. Una vita divisa, come spesso accade a chi deve pur lavorare per campare anche se ha la testa altrove. Insomma, la storia di Peppebutera sembrava finita così, nelle ambizioni velleitarie di un ragazzo di paese.

Ma Peppebutera non era solo un postino, era un mezzo matto. E così tanto fece e disse che riuscì a incontrare il grande critico d’arte francese Pierre Restany. Gli fece vedere le sue tele. E sapete cosa disse il famoso e potentissimo intellettuale? Guardò negli occhi Peppebutera e gridò: “Tu per me sei pittore!”. Peppebutera non capiva. Guardava Restany con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Il francese proseguì: “Lo capisci? Tu sei pittore! Non devi fare il postino, devi fare solo il pittore”. Da buon siciliano, consapevole di quanto sia difficile dalle nostre parti avere un lavoro, Peppebutera chiese al poliedrico storico dell’arte: “Sì, vabbè, e poi come campo?”. Restany alzò le spalle, sdegnato: “Facile. Se farai buoni quadri, li venderai e sarai ricco, altrimenti diventerai povero”.

Peppebutera si grattò la testa e se ne tornò a Comitini. Certo, sembrava facile per come la metteva Restany. Uno molla tutto: un posto sicuro, un posto che te lo tieni per tutta la vita, pure se non vuoi fare niente. Uno molla tutto e si mette a fare il pittore. Sono proprio matti questi francesi. Ma Peppebutera era molto più matto di tutti i francesi. A un certo punto decise: andò una mattina in ufficio ad Agrigento e senza né bi né bà presentò le sue dimissioni. Il suo povero papà stava morendo di crepacuore quando lo venne a sapere. Era pazzo quel Peppebutera. Perfino gli sfaccendati di Comitini ricominciarono a interessarsi di lui: se aveva fatto questo era proprio pazzo e quindi chissà cos’altro avrebbe fatto.

Ma Peppebutera  ormai aveva scelto la sua strada. E da allora ne fece moltissime: moltissime tele, moltissime mostre. Ha bevuto champagne e frequentato case lussuose. Ha viaggiato: da Capri a Saint Tropez, da Barcellona a Stresa. Fu  ospitato da uomini importanti. Ha amato e si è fatto amare da donne belle, a volte impossibili, altre volte capricciose.

Nel suo laboratorio siciliano, sempre nascosto nella campagna di Muxarello, ha racchiuso in una frase dipinta sul muro la sua filosofia: “Per te ho amato. Ho sognato. Ho Pianto”. Ha vissuto in giro per il mondo. Le sue tele, oggi, sono nelle gallerie prestigiose. I collezionisti di Milano, Roma e Amsterdam si dichiarano interessati, curiosi, attenti. La favola bella sembra finire così.

Ma Peppebutera sapeva che il lusso a volte è effimero. Sapeva che le bollicine dello champagne svaporano. Sapeva che l’anima dei suoi quadri stava nella sua Sicilia arsa e avara. Sapeva che le favole belle vanno maneggiate con cura, senza crederci fino in fondo. E con il suo vocione gridava: “Se finisce tutto questo lo sai che faccio? Niente. Mangio pane e cipolla. Pane e cipolla! Pane e cipolla!”. E il tuono delle sue parole, quando andammo a trovarlo nella casetta di campagna di Muxarello, ci accompagna ancora oggi.  Peppebutera: pane e cipolla.

Da “Strani nostrani”- 2010 – edito da Novantacento

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Peppe Butera è morto il 3 giugno del 2016. Il Comune di Comitini nel 2018 gli ha reso omaggio istituendo il “Premio Peppe Butera. Comitini e la sua storia”, ideato da Cosimo Contino.

 

 

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