Fondato a Racalmuto nel 1980

Un verso scuote il sonno della ragione

Giovanni Salvo e la tradizione della rima irriverente a Racalmuto: «Non ho inventato e non invento nulla nei miei versi. Cerco solo di tenere accesa una lucina del paese che anche in questo pare volersi spegnere» 

Giovanni Salvo a Casa Sciascia

Due sono i fertilizzanti per la buona crescita di una sana cronaca in rima. La sicumera dei protagonisti dei versi e la loro stizza verso il poeta. Racalmuto oggi appare sempre più come un presepe, uno di quelli che allestivamo da bambini. Ricordo facevo passare le lucette dentro le casette di cartone, attraverso le porte e le finestre, per dare un effetto reale. Ricordo che ogni volta a quel filo di luci mancava una lampadina, possibilmente si era fulminata nel Natale precedente. Così il presepe diventava sempre più fioco, brillava meno, anno dopo anno. Ciò fino all’acquisto di un nuovo filo di luci.

Il filo! Sì, è quasi sempre colpa di un filo, che se i poli non si toccano, e dunque non vanno in corto, manca solo di lampadine. Certo è molto peggio quando si perde completamente il filo. E qui, nella nostra amata “Regalpetra”, ogni giorno sembra perdersi una lucina. Si é spenta la lampadina dei giornali, dei blog, che animavano il dibattito. Vantavamo il giornalismo, della cosiddetta “stampa minore”, fiore all’occhiello di una società viva e illuminata. Malgrado tutto anche questo aspetto sembra sopito!

Il corto circuito in paese riguarda anche quanti vorrebbero la Cultura miseramente divisa fra Fondazione/Casa Sciascia. Lampadine spente risultano gli oppositori e la maggioranza politica, mai disposti alle dimissioni, anche quando non ci sono più le condizioni per amministrare bene. Dunque il filo è sempre  lo stesso. Non parliamo poi del filo del buonsenso, della passione politica, della logica, qui detta impropriamente della ragione. Non ultimo della tolleranza, e perché no?, dell’ironia o della sua mancanza. L’umorismo, una delle più alte forme d’intelligenza. Da vocabolario: “La facoltà, la capacità e il fatto stesso di percepire, esprimere e rappresentare gli aspetti più curiosi, incongruenti e comunque divertenti della realtà che possono suscitare il riso e il sorriso, con umana partecipazione, comprensione e simpatia“.

C’è chi addirittura azzarda, nel testo di una bella canzone, che sarà proprio l’ironia a salvarci la vita. E di personaggi ironici Racalmuto era un tempo pregno. Tra le ultime lampadine, di un presepe ben illuminato, si annoverano due non tanto anonimi poeti degli anni settanta/novanta, ossia il professor Alfonso Scimè e l’avvocato Garlisi.

Il problema, oggi come ieri, è stato sempre uno: ossia che la rima irriverente viene apprezzata quando i protagonisti, i soggetti presi di mira in quel momento dalla satira, sono gli altri. Impensabile comunque immaginare che qualcuno dei politici, dei tempi di Scimé e Garlisi, avessero potuto pensare di “avvicinarli” per dar loro del bugiardo. Ciò non accadeva, non tanto per rispetto o timore,  bensì perché i protagonisti avevano cognizione della  storia della Sicilia e principalmente di Racalmuto. Conoscevano bene il senso di quella fastidiosa ma simpatica attività. Erano arroganti ma non ignoranti.

Sapevano che l’attività poetica era una sorta di celebrazione dell’uso della rima, utilizzata da sempre contro il potere, sin dalle lotte contadine. Un modo come tanti per aiutare a non perdere la memoria? Altra lampadina qui fulminata. Sapevano bene che in paese sin  dagli inizi del Novecento veniva stampato un giornale, tutto in versi, dal titolo Cronaca rimata di Racalmuto. Conoscevano dunque la storia e non solo miseramente il territorio elettorale. Oltre le trame e gli accordi matematici, certo non erano avulsi, allora come ora, da scazzottare  nelle segreterie politiche, quando non finivano col mostrare pistole o fucili, pur di chiudere un accordo per interesssi personali. Erano arroganti, ma avevano la prudenza di non scollegare il filo della memoria. Quest’anno, per la prima volta, nella storia della Festa del Monte, non abbiamo potuto assistere alla presa del Cero, ce la siamo persa. Una lampadina che non ha brillato, speriamo non per sempre.

Serve dunque preservare quel che resta, anche la nostra semplice ironia; non dobbiamo rischiare di perdere anche quella. In caso contrario cosa resterebbe?
“Dove non c’è umorismo non c’è umanità; dove non c’è umorismo… c’è il campo di concentramento”.
Oggi pur io risiedendo a dieci minuti di macchina dal paese, la distanza non mi obbliga a dimenticare ciò che ho appreso sul campo, e voglio continuare a recitare la mia parte.
Così come diceva la mafia a Giovanni Falcone, amo essere considerato uno “scassaminchia”, un rompiscatole. Ho sempre vissuto Racalmuto, respirandolo a pieni polmoni. Non ho inventato e non invento nulla nei miei versi spesso irriverenti. Cerco solo di tenere accesa una lucina.

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