Mirabile sintesi di eleganza architettonica. A seguito del recente restauro (2017/2020), voluto dai nuovi proprietari, Francesca e Massimo Valsecchi, il Palazzo è ora divenuto “un museo laboratorio aperto alla città di Palermo”.
Il tempo modifica la materia e ne determina la visione storicizzata che cattura subito lo sguardo contemplativo, in quanto la bellezza, a prescindere da come e quanto la si osserva, anche per un solo attimo, coinvolge totalmente. Tutto ciò, ancor più, se la materia è stata oggetto di restauro in cui qualità ed eccellenze, come anche manomissioni, inserimenti, superfetazioni e lacune, vengono risolti rispettando l’essenza del manufatto raccontato, nella costante e difficile dialettica fra tecnologia e arte, con sapiente eleganza. E’ questo il caso di Palazzo Butera, mirabile sintesi di eleganza architettonica, che con il suo impianto urbano a doppia corte, assieme a Porta Felice, rappresenta la quinta scenica di ingresso dal mare alla città di Palermo.
Le prime notizie, sull’imponente residenza della famiglia dei Branciforte, risalgono al 1692, ma l’attuale configurazione architettonica è di epoca settecentesca, con gli interventi effettuati dagli architetti Giacomo Amato (esterni), Ferdinando Fuga (interni) e Paolo Vivaldi (piano terrazzato).
A seguito del recente restauro (2017/2020), voluto dai nuovi proprietari Francesca e Massimo Valsecchi, per opera dell’architetto Giovanni Cappelletti, il Palazzo è ora divenuto “un Museo laboratorio aperto alla città di Palermo, un catalizzatore di sviluppo sociale attraverso l’utilizzo della storia, della cultura, della scienza e dell’arte”.
Tale nuova funzione costituisce, pertanto, un interessante riutilizzo del vasto complesso edilizio, che da “antico muro urbano” mira, adesso, ad aprirsi alla città di Palermo, attraverso uno stimolante confronto fra le opere antiche preesistenti e le opere di arte contemporanea proposte negli allestimenti espositivi.
Per tale ragione, anche ad uno sguardo rapido, non sfugge come gli affreschi del Martorana, del Fumagalli e dell’Interguglielmi, le opere di intaglio del Carretti, le stuccature dell’Alaimo e le pitture del Vizzini e del Cavarretta, sembrano dialogare con le opere di arte contemporanea di Michael Badura, Gianfranco Baruchello, Thomas Joshua Cooper, Claudio Costa, Erik Dietman, Eugenio Ferretti, Hamish Fulton, Tom Phillips, Anne e Patrick Poirier, Elisabeth Scherfg e David Tremlett.
In particolare, quest’ultimo, con i suoi controsoffitti in “wall painting”, ben rappresenta la sintesi di questo dialogo tra passato e presente nelle riletture, in chiave contemporanea, del tema della quadratura e dello sfondamento prospettico. Così come, tale dialogo è riscontrabile nell’installazione artistica di Anne e Patrick Poirier, che riutilizzano i frammenti architettonici della mensola del cornicione e della fontana, ritrovati durante il restauro del Palazzo. E, non ultimo, il recupero operato da Cappelletti del canale di scolo maiolicato delle acque piovane dell’ex locale caldaie del Palazzo, dove una radice della Jacaranda della corte esterna, è penetrata nel canale diramandosi in un suggestivo percorso.
Ma oltre alla dialettica fra passato e presente, è interessante la visione che i Valsecchi hanno della casa/museo, da loro intesa in una dimensione dinamica, che mira a promuovere la ricerca e la conoscenza, attraverso lo studio delle collezioni e il rapporto di collaborazione con l’Università di Palermo e le istituzioni straniere. E, dunque, quale centro di ricerca per dialogare con il resto della città, come centro propulsore di rigenerazione sociale e urbana, di arte e di bellezza.
Non a caso per i Valsecchi “Palazzo Butera è il punto di partenza di un grande progetto che dovrebbe aiutare la Kalsa, Palermo, la Sicilia e anche l’Europa”. Per tale ragione il Palazzo si offre come grande laboratorio, per capire che chi arriva in Sicilia, non è necessariamente un nemico, ma un “ambasciatore” di cultura e di esperienze e, dunque, di possibilità di scambio e conoscenze.
Discreto, composto, con anni di esperienza in giro per il mondo, Massimo Valsecchi, si definisce “una persona normale”, che in un momento particolare, segnato dal problema dell’immigrazione, ha deciso d’investire sui siciliani, in quanto nel loro DNA hanno il senso dell’accoglienza e la capacità di assorbire e trasformare qualsiasi cultura e religione con le quali vengono a contatto. Ecco il perché della scelta della Sicilia e di Palermo.
Un innamoramento a prima vista, dovuto alla capacità di creare comunità, punto essenziale di partenza per pensare al domani, nella consapevolezza che l’arte è un catalizzatore unico per creare il futuro.
Ed è all’interno di tale futuro che Valsecchi si definisce un ricercatore, che non ama la parola museo perché sa di conservazione e staticità, mentre lui ambisce a creare spazi dinamici in continua mutazione e circolarità, che sappiano di vita in continua evoluzione.
Per l’insieme di tali motivi, Palazzo Butera è un percorso ricco di stimoli per gli sguardi più disparati, che possono andare dai libri ritrovati, alla Jacaranda che invade i vecchi canali di scolo, dagli allestimenti espositivi dinamici, alla scelta di non mettere didascalie alle opere lasciate alla libera interpretazione del visitatore, il quale è sempre e, comunque, stimolato ad affidarsi al proprio sguardo, a volte emotivo e a volte riflessivo, ma sempre attento nel cogliere il fascino dell’arte e della creatività.