Nino De Vita. Se esistesse una mappa della poesia, il poeta più a ovest di Sicilia sarebbe sicuramente lui. Il 3 dicembre riceverà a Grotte il Premio Racalmare – Leonardo Sciascia “alla carriera”.
Se esistesse una mappa della poesia, il poeta più a ovest di Sicilia sarebbe sicuramente Nino De Vita. Più in là c’è solo lo stagnone di Marsala e l’isola quasi disabitata di Motya, oltre le quali si spalancano le colonne d’Ercole. Non so se per i poeti abbia senso parlare di geografia, ma per Nino De Vita bisogna fare un ragionamento a parte. Nino infatti non sarebbe poeta se non fosse di Cutusio, la contrada tra Marsala e Trapani distesa in una delle zone più suggestive di Sicilia.
Parlare di poeti è sempre imbarazzante per chi, come me, nutre ammirazione sconfinata verso chi riesce a fare poesia. D’altra parte, si sa, gli uomini si dividono tra chi vive in prosa e chi vive in versi. Nino De Vita è uno di questi qui. Adesso, mettiamo in chiaro le cose: non aspettatevi di incontrare uno stralunato e lunatico personaggio, sfuggite alla tentazione di immaginare che Nino sia lo strampalato abitante del mondo iperuranio. De Vita è un uomo concreto, laureato in scienze agrarie, per lunghi anni insegnante di materie scientifiche nelle scuole superiori di Marsala, adesso in pensione. E’ un uomo terragno, perché viene dalla terra, da una famiglia che ha radici affondate proprio a Cutusio, questa contrada agricola a pochi chilometri da Marsala.
Nato, cresciuto, vissuto sempre nella casa rurale che fu dei padri e dei nonni, Nino De Vita è uno di quei poeti appartati e discreti che hanno ricevuto consensi e riscontri grandi nel mondo letterario. Premi, recensioni, amicizie svolte lungo l’arco lungo della sua vita, senza mai allontanarsi più di tanto da Cutusio, sempre ancorato alla scoglio più occidentale della Sicilia. E perfino la sua opera è tutta centrata su quest’angolo di terra affacciato sul tramonto. Affacciato sul tramonto? Mi accorgo, con orrore, che parlare di un poeta mi fa diventare aulico. Allora meglio scrivere come si mangia e raccontare alla buona la storia del professor Nino De Vita.
Nella Cutusio in cui Nino è nato nel 1950 non c’era luce elettrica, né televisione, non arrivavano i giornali e l’unica lingua ufficiale era il dialetto marsalese, ancor più la parlata locale. Fino all’età scolare, Nino aveva sempre ascoltato e frequentato quella lingua antica. Diciamo che l’italiano ufficiale della nazione è per lui una seconda lingua, appresa nell’età della ragione. Nino è un ragazzo studioso, ma soprattutto ama leggere. Legge di tutto e con foga. A diciannove anni, nell’autunno 1969, si trasferisce a Palermo per frequentare l’università. E qui, a una mostra, incontra Enzo Sellerio che gli fa conoscere Leonardo Sciascia.
Lo scrittore osserva incuriosito il giovane studente, che a sua volta è intimorito dall’intellettuale già affermato. Sciascia però di botto si rivolge a Nino: “Tu hai una macchina? Mi daresti un passaggio?”. Per Nino è il momento della svolta. Riscalda i motori della sua Cinquecento, e via per le strade della città con lo scrittore seduto accanto. Sciascia tace, Nino suda: imbarazzato non sa che dire, vorrebbe rompere il silenzio. Riesce solo a dire: “C’è traffico a Palermo, vero?”. Sciascia annuisce e commenta: “Eggià”. Fine del discorso. Eppure, da quest’incontro casuale, nascerà un’amicizia lunga, fatta di silenzi, ma anche di molte parole e molto affetto. Nino De Vita diventerà assiduo di Sciascia e del circolo di intellettuali palermitani formato da Ignazio Buttitta, Antonio Castelli, Enzo Sellerio e tutti gli altri che si ritrovavano nella galleria di Maurilio Catalano “Arte al Borgo”.
Ma non basta. Come tutti coloro che amano i libri, Nino è divorato dal demone della scrittura. Esordisce con alcune poesie in italiano, ma un giorno mentre insegna in un liceo di Trapani ha un’illuminazione. A un suo studente che uscendo dalla classe ha lasciato la porta socchiusa, dice in siciliano: “Non lasciare la porta a ciacchiazzedda”. I ragazzi lo ascoltano perplessi, non capiscono. Nino De Vita torna a casa alterato: è possibile che il siciliano, il “suo” siciliano, si stia perdendo? Scrive di getto, recupera dalla memoria parole dimenticate, in disuso. In dialetto, scrive la sua biografia in versi: dal giorno della nascita fino ai tredici anni. Stampa nel 1991 un primo libretto, in una tipografia di Marsala, che finisce nelle mani di un critico. La recensione sul “Sole 24 Ore” produce un effetto a cascata: molti altri si interessano di questo poeta che usa un dialetto antico per narrare la propria vita, tutta dipanata tra le trazzere di Cutusio.
E infatti il primo libro si intitola proprio “Cutusiù”. Da lì comincia il viaggio poetico di De Vita, il racconto della propria vita. Un’autobiografia in dialetto, come un romanzo in versi. Personaggi, squarci di vita, incontri, ma per fortuna senza lo scoramento retorico per il paradiso perduto. Vengono altri libri, altri riconoscimenti. Adesso Nino sta lavorando a una raccolta intitolata “Omini”, nella quale racconta alcuni incontri con personaggi famosi – come Sciascia e Buttitta – ma anche con persone sconosciute, sempre usando il dialetto della sua contrada.
Come vedete, Nino De Vita, il poeta più occidentale di Sicilia, ha una biografia poco eroica: insegnante, marito, padre. Ma per essere poeti non bisogna essere per forza dannunziani. Eppure, a forza di cercare, ho scovato qualcosa nella vita di quest’uomo tranquillo. Me lo ha raccontato lui stesso, il ricordo di un brivido insolito: quando si iscrisse all’università a Palermo l’autostrada non era ancora costruita, il viaggio in auto o in treno era lungo e accidentato. Ma dall’aeroporto di Birgi, a due passi da Cutusio, partiva un aeroplanino diretto a Punta Raisi. Ogni settimana, Nino De Vita saliva a bordo e in un quarto d’ora arrivava a Palermo. Pendolare di lusso, fuori sede volante, Nino viaggiava in aereo. Forse in quel momento, durante il volo, era veramente con la testa fra le nuvole, come immaginiamo debbano essere i poeti.
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