Due paesi in fase di spopolamento drastico non possono permettersi di vivere in uno splendido isolamento che è l’anticamera della fine. Dai piccoli centri siciliani può partire un’ipotesi di rilancio. Piccolo è bello, ma piccolissimo no. Meglio un matrimonio, anche di interesse.
“Era meglio morire da piccoli…” diceva una vecchia canzoncina goliardica. Il dibattito sull’unione possibile, nelle forme e nei modi da definire, tra i Comuni di Grotte e Racalmuto potrebbe avere questo inno.
Sarà meglio morire da piccoli. Piccoli e soli, ciascuno riparato nel proprio orizzonte municipale, dentro un recinto di case vuote, di strade spopolate, di serrande abbassate per sempre.
D’altra parte, non sarà né la prima né l’ultima volta che i paesi muoiono. La storia è fatta di civiltà scomparse, di città ridotte in macerie, di luoghi di cui si è perso perfino il nome. E se è vero che il nome Racalmuto significa “villaggio morto o abbandonato” (ma su questo punto non mi spingo oltre perchè temo le bacchettate che l’agguerrito studioso Calogero Taverna impartisce a destra e a manca), forse significa che prima di questo paese, di cui abbiamo memoria storica, ne esisteva un altro di cui si è perduta memoria.
Resteremo soli, dunque. E sempre più piccoli, come spiegano i numeri agghiaccianti, che parlano di una diminuzione demografica di circa il 15/20 per cento ogni dieci anni, effetto di bassa natalità e di nuove emigrazioni. Di questo passo, secondo alcuni studi, Racalmuto fra trent’anni – salvo eventi imprevedibili – tornerà ad avere la popolazione che aveva nel Seicento, meno di cinquemila abitanti. E per Grotte si parla di 3 mila abitanti.
Piccoli, ma felici? Non è così, perchè Racalmuto e Grotte hanno i servizi e le esigenze di Comuni più grandi di quel che siano oggi, ecco perché le tasse pesano sempre di più sui residenti. Personale comunale in abbondanza, immobili in abbondanza, edifici monumentali in abbandonanza: troppa roba per un paese con troppo pochi abitanti.
Salvatore Filippo Vitello e Felice Cavallaro hanno ben evidenziato la necessità di riaprire il dibattitto sulla necessità di riunificare i due paesi. Ma forse l’errore che sto facendo è quello di parlare ancora di fusione fra i due Comuni, aprendo la discussione sul nome del nuovo ipotetico paese (Racalmare, Racalgrotte, Grotte-Racalmuto?) e sulla funzione dirigenziale che dovrebbe assumere uno dei due,a svantaggio dell’altro. Ma quello del nome è un falso problema, che qui nessuno discute. Storia, realtà sociali sono differenti ma contigue, lasciamole come sono. Così come nessuno vuole un unico consiglio comunale che farebbe perdere ruolo e prestigio a molte persone. A ciascuno il suo sindaco e i suoi rappresentanti politici. Ma altre cose possono essere messe in comune dai due Comuni.
Più che di fusione, parliamo allora di unione di alcuni servizi che, potenziati, potrebbero fornire maggiori servizi e maggiore efficienza. Cavallaro cita ad esempio i servizi culturali: Premio Racalmare, Teatro Regina Margherita e Fondazione Sciascia non potrebbero unirsi per realizzare al meglio la loro offerta? Uffici tecnici e assistenza sociale, vigili urbani e manutenzione ordinaria non possono essere unificati potenziando così il loro personale e quindi le proprie prestazioni ai cittadini?
Anzi, parliamo di matrimonio, se non d’amore almeno di interesse. In un matrimonio nessuno perde il suo nome o la sua identità. Si accrescono i familiari e gli affetti, si risparmia sulle spese d’affitto e sulle bollette, sui mobili e sulla spesa, basta solo un’auto invece di averne due da lasciare per lunghe ore parcheggiate sotto casa. Insomma, un vantaggio per tutti i contraenti.
Credo che si possa fare così come già succede in molti altri settori della vita amministrativa.
A me preme l’aspetto culturale e mi stupisce che nel momento in cui la provincia di Agrigento si propone come terra il cui il capoluogo è Città della Cultura per il 2025 – coinvolgendo molti paesi della provincia, compresa la lontana eppur presentissima Lampedusa – si possano ancora ribadire le millimetriche distanze tra due cittadine separate solo da un passaggio a livello.
Mi auguro che il sindaco di Grotte Alfonso Provvidenza (che già partecipa in prima persona a esperienze associative di questa natura, come ad esempio quella sulla gestione dell’acqua pubblica) possa lanciare in termini concreti la discussione, coinvolgendo l’attuale sindaco di Racalmuto Vincenzo Maniglia o chiunque sia il suo successore alle prossime elezioni del 2024. D’altra parte il premio Racalmare che ho presieduto in passato e che oggi torno a guidare è un piccolo esempio virtuoso di come si possano fare iniziative unificanti, a patto che non si finisca per sabotarsi a vicenda per incomprensioni o peggio.
Ma a quanto pare il futuro è un problema da lasciare in eredità ai nostri figli, ai nostri nipoti. Teniamoci i nostri campanili, giochiamo la partita dell’orgoglio municipale pieno di luoghi comuni (tasci o paraccara, colti o ingegnosi, cattolici o valdesi), e così i due paesi scompariranno, ma questo non sarà né dolce né indolore, perché sarà accompagnato da tasse sempre maggiori, da disoccupazione sempre più alta, da svalutazione degli immobili e da servizi pubblici peggiori.
Insomma, ignorare che questa unione (magari allargata anche ad altri paesi, soprattutto ora che sono scomparse le Province) potrebbe essere una possibilità di salvezza, significa fregarsene del futuro immediato (perché trent’anni passano in fretta). Chi non vuole capire, chi si oppone o chi se ne frega, a modo suo pensa: meglio l’uovo oggi che la gallina domani. Meglio morire da piccoli. Meglio vivere separati e morire da soli che sopravvivere in compagnia. O forse no?
Leggi anche
Fusione tra Grotte e Racalmuto. “E’ necessario riaprire la discussione su questo tema”