Fondato a Racalmuto nel 1980

“Preessorè, ma la capisce la mia scrittura?”

Così mi dice trotterellando allegramente verso me lo studente che sta consegnando il compito in classe

Angela Mancuso

«Preessorè, ma la capisce la mia scrittura?»

Così mi dice trotterellando allegramente verso me lo studente che sta consegnando il compito in classe. E mi sventola sotto il naso quattro pagine di geroglifici risalenti alla dinastia del faraone Menes, unificatore dell’Alto e del Basso Egitto.

«Ma certo cha la capisco!», ribatto io non senza un evidente slancio di orgoglio.

Su quasi tutti i fogli che gli alunni mi consegnano campeggiano ghirigori e svolazzamenti, lettere maiuscole al posto delle minuscole, parole piccolissime e sillabi enormi, apostrofi sbilenchi e virgole disobbedienti.

«Preessorè, se vuole lo ricopio», mi dice un altro pargoletto che si è evidentemente impietosito.

«No, no, tanto non cambierebbe nulla.»

Perché noi professori di lettere siamo in grado di decifrare e comprendere compiti in classe scritti in tutte le lingue del mondo. Lingue vive, lingue morte e lingue agonizzanti. Lingue terrestri e idiomi alieni, lingue conosciute o di nuova formazione, neolatine, neolitiche e neozelandesi.

Dall’ aramaico antico allo sloveno contemporaneo, dal cirillico cuneiforme assiro-babilonese al demotico greco-attico, dal gaelico bardico al venusiano intergalattico, non c’è nulla che ci spaventi.

Una volta ho letto un manoscritto scambiato per decenni per una partitura musicale. Invece era un compito in classe. In tutto il globo terracqueo c’è solo una scrittura di fronte alla quale ci arrendiamo, quella dei medici. Loro non scrivono, disegnano le onde del mare. Affidano a una sequenza di linee curve, piatte e circonflesse prescrizioni di farmaci e applicazioni di unguenti. Solo i farmacisti possiedono la dote divina per comprendere le ricette mediche. A loro noi docenti di lettere ci inchiniamo come di fronte a divinità superiori e irraggiungibili.

«Ma lei lo capisce cosa ha scritto il dottore?»

«Certo che lo capisco.»

«Che Dio la benedica!»

 

 

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