Rosa che brandiva la chitarra come una spada, e colpiva con le sue canzoni tutte le ipocrisie e le falsità del mondo
«Quannu moru faciti ca nun moru. Diciti a tutti chiddu ca vi dissi».
Così cantava Rosa Balistreri in quello che è considerato il suo testamento morale, l’eredità di affetti che ci ha lasciato, quella corrispondenza di amorosi sensi di foscoliana memoria che attraverso la sua voce si crea ancora tra noi e lei. «Quando muoio fate che non muoia. Dite a tutti ciò che vi ho detto». Perché la memoria non è solo un ricordo, non è solo l’immagine di ciò che è stato, ma alimenta la cultura, la conoscenza e la riflessione.
Lei, nata a Licata, in una famiglia poverissima, è stata una cantautrice che col suo timbro vocale unico, intenso, penetrante ha dato fiato, luce, visibilità all’infame destino di tutti gli sfortunati, i reietti, i diseredati della terra.
La memoria è anche dolore e chi è nato in questa terra è legato a Rosa dal filo di quella memoria che proprio lei ci ha chiesto disperatamente di preservare. «Quannu ia moru pinsatimi ogni tantu, ca pi sta terra ‘ncruci iu moru senza vuci».
La voce che Rosa possedeva era il più prezioso dei suoi doni, e per tutta la vita l’aveva messa al servizio di una terra in croce. Da licatese qual io sono non è difficile scrivere di Rosa, perché chi nasce a Licata la respira fin dai primi vagiti, la sente nell’aria, la vede per le strade, la dipinge sui muri, la canta nelle scuole, si vanta che lei sia ormai conosciuta in tutto il mondo. È ovunque, sempre presente, impressa nei ricordi di chi l’ha conosciuta, e immaginata da chi non l’ha conosciuta.
Rosa che si fermava a guardare il nostro mare, quel mare che al mattino accoglie la luce del cielo e che al tramonto è una morbida distesa d’argento. Rosa che a quel mare, a quel cielo, a quel tramonto rivolgeva il suo canto straziante, potente, il suo urlo furibondo contro la fame, la povertà, l’ingiustizia, la prepotenza, l’assuefazione. Rosa che camminava scalza, tra palazzi barocchi e monumenti antichi e maestosi, magnifici ma indifferenti alla sorte dei figli costretti ad andar via. Così come anche lei fu costretta ad andar via, insidiata, braccata, con gli occhi gonfi, il cuore a pezzi, il lutto nell’anima.
Rosa che resisteva, che si ribellava, che si affannava e sperava e fino a trent’anni non sapeva né leggere né scrivere. Rosa che affondava i piedi nella sabbia finissima e dorata delle nostre infinite spiagge, e spingeva lo sguardo oltre quelle coste che furono approdo di popoli di ogni lingua. Rosa che sognava, raccontava e cantava, sempre e per sempre, con quel timbro arcaico che affondava le radici nel tempo.
Rosa che amava Licata con tutte le sue viscere, con la vampa dell’amore più puro e correva con il vento su buche di dolore. Rosa che piangeva una Sicilia sottomessa a patria e padroni che la tenevano e la tengono in croce, asservita, umiliata, sfruttata, svuotata della sua linfa più pura. Una Sicilia che piange da quando sulle sue rive sono sbarcati i pirati, che sono venuti a rubare il sole, a spogliare le campagne e a strappare gli occhi alle donne. E quei pirati non sono più andati via.
Chi nasce a Licata sente ancora il suo canto riecheggiare tra vicoli oscuri, bui e contorti, che odorano di muffa. Che portano impresse le tracce della fame più nera, di quella guerra che lasciava a terra poveri cristi rigidi e freddi, distesi lì ed esposti come stoccafissi.
Rosa che odiava la mafia, che brandiva la chitarra come una spada e colpiva con le sue canzoni tutte le ipocrisie e le falsità del mondo. Rosa che si accontentava solo di un abbraccio e di un bacio quando riusciva a tornare qui dove si era consumato il tempo migliore e peggiore della sua giovinezza.
Chi nasce a Licata sa che c’è una memoria da coltivare. Non sarà mai troppo, non sarà mai abbastanza. Rosa ci guarda e sorride indulgente e materna. Sa che adesso siamo qua, sente che la celebriamo con orgoglio infinito, che la cantiamo con amore infinito e che la abbracciamo con abbracci infiniti. In ogni iniziativa, in ogni manifestazione, in ogni evento a lei dedicato. Tutti. Perché Rosa è di tutti.