L’INTERVISTA La scrittrice Nadia Terranova ci racconta il suo rapporto con i libri di Gesualdo Bufalino. “All’inizio fu amore tiepido, poi la riscoperta di uno scrittore purtroppo poco letto”. La scrittura barocca, la Favola del Castello senza tempo per ragazzi, il rapporto con Sciascia, la sua “isolitudine”
Finisci l’omu e finisci lu nomu (Finisce l’uomo e finisce il nome), scriveva Gesualdo Bufalino ricordando un antico detto popolare in “Museo d’ombre”. Eppure il nome dello scrittore siciliano, che sin da ragazzo ebbe “dimestichezza con il mondo della scrittura e della lettura”, continua a vivere, a cent’anni dalla sua nascita. Vive nelle pagine dei suoi libri, negli incipit unici dei suoi romanzi (O quando tutte le notti – per pigrizia, per avarizia – ritornavo a sognare lo stesso sogno… “Diceria dell’untore”, Fui giovane e felice un’estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo quell’estate… “Argo il cieco ovvero I sogni della memoria”, solo per citarne alcuni), negli scaffali di ogni libreria e in quelli della “sua”, a Comiso.
Bufalino vive, nella luce e nel lutto delle sue cento Sicilie. Ma forse non ricordato abbastanza, come tanti scrittori siciliani. Ne è convinta Nadia Terranova, la scrittrice messinese che si è innamorata di Bufalino dopo aver letto “Argo il cieco ovvero i sogni della memoria”: “Sì, è vero. E’ il libro che amo di più. Un romanzo magnifico dove c’è l’amore, un’intera estate d’amore, la gioventù, la memoria”.
Parlaci del “tuo” Bufalino
Il primo libro letto negli anni del liceo è stato “Le menzogne della notte”. Ce ne parlava in classe il professore di Italiano, Giuseppe Cavarra, un poeta-intellettuale che si occupava di poesia dialettale. Davvero in quegli anni a Messina, grazie a Cavarra, molti di noi studenti avevamo uno sguardo speciale sulla letteratura siciliana. E ci parlava anche dei contemporanei, di Camilleri, di Bufalino, che morì nell’anno in cui mi sono diplomata. Lessi in quegli anni pure “Diceria dell’untore”. Ti confesso che fu amore tiepido rispetto a quello per Leonardo Sciascia. Dopo diversi anni trovai “Argo il cieco”. L’incontro con questo libro è stato epocale. E’ stato per me una riscoperta. Da allora ho recuperato tutti i libri di Bufalino, gli aforismi, “Cere perse”, “L’uomo invaso”. Tutto. E ho iniziato a frequentare Comiso, la sua biblioteca in piazza delle Erbe. Degli scritti di Bufalino mi affascina il rapporto con la memoria. Un grande, insomma.
Eppure Bufalino, come tanti autori siciliani, rimane un po’ nel dimenticatoio. Se ne parla in questi ultimi mesi in occasione del centenario, ma poi?
Infatti Bufalino non è ricordato per niente. Gli scrittori siciliani, ahimè, non occupano il posto che meritano. Maria Messina, Consolo, anche lo stesso Sciascia, anche se è molto citato, ma non così tanto letto. Bufalino non è nemmeno citato…
Per questo importante anniversario hai introdotto, per Bompiani, “Favola del Castello senza tempo”. Chissà, magari attraverso questo scritto per ragazzi i giovani lettori possono avvicinarsi alla lettura dei suoi libri che forse ritengono Bufalino un autore difficile…
Senz’altro. Che bello pensare che lui ha scritto per i ragazzi. Il suo è un mondo di adulti, di luce e di lutto, ed è tenero che questo scrittore, che non ha avuto figli, si rivolge ai bambini. E ti dico di più: anche un adulto che non l’ha letto può avvicinarsi, attraverso le Favole, agli altri bei libri di Bufalino e alla sua magnificenza barocca. Questo libro, che era stato un pochino dimenticato, finì insieme a tutti i suoi libri, come sappiamo, alla biblioteca della Fondazione che porta il suo nome. Adesso torna in una bella edizione arricchita dalle illustrazioni di Lucia Scuderi.
Giorni fa su “Repubblica Palermo” hai scritto di un’ideale passaggio di testimone tra due importanti centenari, quello di Bufalino, di cui oggi cade la data esatta, e quello di Sciascia, il prossimo 8 gennaio…
Trovo commovente che due scrittori fossero così amici. La loro era un’amicizia dal significato nobile. A me sembra una cosa bellissima quest’unione forte tra le persone, che in questo periodo storico viene sempre meno. Incontrarsi, osservarsi, riconoscersi un ruolo, incoraggiarsi. Sciascia e Bufalino erano due uomini che si volevano veramente bene, in cui l’affetto non era solo a parole, ma fatto di concretezze, di riconoscenza concreta. Dovremmo vivere così i nostri rapporti umani ed intellettuali, ed è bellissimo questo messaggio che ci consegna la loro unione, fra vita privata e vita culturale.
Nel 1990 Gesualdo Bufalino, intervistato da “Malgrado tutto” disse di sé, parlando della sua isolitudine, che si sarebbe chiuso in una sorta di isolamento. Sconsigliandolo però ai giovani il quale invece li invitò a mischiarsi, inzupparsi della Sicilia per guarirne e guarirla…
C’è tutto Bufalino in queste due righe. Ma ci pensi? Un eccentrico professore in pensione che esordisce sessantenne nel mondo della letteratura, travolto all’improvviso dal successo, sceglie comunque di non allontanarsi mai dal suo teatro della memoria, senza uscire mai dall’isolamento barocco della sua Comiso. Eppure, come quando scrisse la “Favola del Castello senza tempo”, guardava alla speranza dei giovani, parlava di libri. Questa idea della Sicilia, di amarla incondizionatamente e consegnarla ai più giovani ci dà ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, l’idea della grandezza di quest’uomo e di questo scrittore che non dimenticheremo.
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